Il riscaldamento globale lo sperimenteranno direttamente oggi i delegati alla COP21 di Parigi, nella giornata più calda di questo summit mondiale sul clima. Saranno ore frenetiche, dominate essenzialmente da un dilemma cruciale: tenere o cancellare le frasi contenute nelle parentesi quadre? Sì perché la bozza del testo dell’auspicato accordo (Draft Paris Outcome) era pronta già l’altro ieri ed è il risultato di un intenso lavoro di aggiustamento e mediazione iniziato il 5 dicembre: in quella data era stato approvata dai 195 Paesi partecipanti un primo documento di base di 48 pagine – derivante a sua volta dal documento di inizio conferenza che era di 54 pagine – che in quattro giorni di discussioni sono diventate ”appena” 29.
Il problema sono le parentesi quadre: la maggior parte del testo infatti è messa tra parentesi e questo simbolo grafico significa che si tratta di parti sulle quali non c’è stato accordo e che potrebbero essere ulteriormente depennate. Molte di queste rappresentano opzioni alternative, una delle quali dovrà decadere. Per stare al caso di una delle questioni principali, nell’Articolo 3 – che riguarda le azioni di mitigazione, cioè il tentativo di limitare il surriscaldamento del Pianeta – viene indicata l’entità della riduzione delle emissioni di gas climalteranti dal 2050 sotto i livelli del 2010 e le ipotesi, ovvero le parentesi quadre, sono due: del 40-70% oppure del 70-95% per poter arrivare al traguardo di zero emission nel 2100.
Poche righe dopo, nel tentativo di esplicitare una scelta di più lungo periodo, si mettono in alternativa, sempre tra parentesi, la prospettiva della ”decarbonizzazione” e quella della ”neutralità climatica”: non è difficile immaginare quale parentesi vorranno cancellare Paesi come l’India e la stessa Cina, che sul carbone come fonte energetica puntano parecchio per il loro sviluppo economico.
In alcuni casi le differenti opzioni sono indicate esplicitamente nel documento. L’articolo 1, che delinea gli obiettivi (Purpose) dell’accordo, inizia affrontando il punto più critico, quello dell’incremento massimo accettabile della temperatura media globale; qui le opzioni sono addirittura tre: per contrastare il global warming l’aumento di temperatura deve essere tenuto ”al di sotto dei 2 °C” rispetto ai livelli preindustriali; oppure ”ben al di sotto dei 2 °C”; oppure ”sotto a 1,5 °C”. Il guaio è che, qualunque sia la scelta sulla quale convergeranno oggi i delegati alla COP21, molte proiezioni basate sulle scelte di politica energetica dei principali Paesi industrializzati stimano inevitabile sforare il tetto dei +2 °C; secondo una stima della UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change, l’organismo dell’Onu che si occupa della questione dei cambiamenti climatici) l’aumento potrebbe essere non inferiore a 2,7 °C.
Queste incertezze che seguiranno la COP21 anche se sarà firmato l’accordo, come è probabile per ragioni di opportunità politica, derivano anche dalla diversa impostazione di questa COP rispetto alle precedenti. Una novità infatti, che concerne il processo decisionale successive alla COP21 e richiamato nell’articolo 2 della seconda parte della bozza di accordo, è quella degli INDC (Intended Nationally Determined Contributions) cioè le promesse individuali che ogni Paese è chiamato a presentare all’UNFCCC e sulle quali intende impegnarsi per la riduzione delle emissioni di carbonio. È una conseguenza di una decisione presa nella 19esima sessione della Conferenza delle Parti tenutasi a Varsavia nel novembre 2013. Questo prefigura un diverso approccio alle strategie di contenimento globale delle emissioni, basato più sulla responsabilità dei singoli stati che su decisioni di vertice. Ma può anche diventare un punto di debolezza dell’intera operazione.
Che comunque è intrinsecamente debole, come già faceva notare l’Enciclica Laudato sì, tanto richiamata in questi giorni ma non laddove critica l’inconcludenza dei vertici sul clima e soprattutto laddove indica la prospettiva più ampia nella quale inquadrare il tema dei cambiamenti climatici. Se si resta nella angusta visione tecnicistica, sulla quale sono costruite le COP e i relativi documenti, ogni accordo non potrà che rivelare i suoi limiti. Nella bozza di accordo si può trovare ben poco dell’invito di Papa Francesco, pochi giorni prima del summit di Parigi, affinché la Conferenza perseguisse il triplice obiettivo di ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici, incrementare la lotta contro la povertà e sostenere il rispetto della dignità umana. Nella bozza si cita spesso la lotta alla povertà (eradicate poverty) ma l’impressione è che si tratti di un dovere di completezza nell’elencare gli obiettivi, più che di un reale programma supportato da azioni concrete e impegnative. Quanto alla dignità umana, non c’è traccia.
D’altra parte, l’ecologia o è ”integrale” oppure si riduce a curare i sintomi dei mali della nostra casa comune, senza scalfire le radici; e, alla fine, non riesce neppure a intervenire sui sintomi. Vedremo nei prossimi giorni se, tra una parentesi e l’altra, saranno riusciti a inserire qualche spiraglio che allarghi la visuale e apra la strada a una visione dell’ambiente non riduzionista.