Riformare l'esame di maturità non basta: per ottenere risultati veri e duraturi sugli alunni, occorre investire sul percorso scolastico
Gentile direttore,
il dibattito sull’esame di maturità ha messo in luce sensibilità diverse su temi fondamentali riguardanti l’educazione dei giovani. Spesso si parte dalle proprie esperienze personali, dal ruolo ricoperto o da idee specifiche rispetto alla questione affrontata. Dopo aver sottolineato l’importanza di ristabilire un nuovo rapporto con gli alunni – rapporto che, in questa fase, potrebbe salvare il salvabile per chi crede ancora nella scuola come autentico luogo educativo – vorrei offrire un ulteriore contributo, basato su dati oggettivi e incontestabili, pur restando soggetti a diverse interpretazioni.
Nel 2024 si sono diplomati il 99,8% dei candidati che hanno sostenuto l’esame di maturità, un dato in linea con l’andamento degli ultimi quindici anni. Tra il 2000 e il 2010 la percentuale dei promossi oscillava tra il 95% e il 98%, nell’anno scolastico 1995-96 era al 93,3%, negli anni 80 superava di poco il 90%, mentre negli anni 70 l’esame aveva ancora una forte funzione selettiva, con una media di promossi intorno al 70%.
Questi numeri ci dicono che, negli ultimi 15 anni, l’esame di maturità si è trasformato quasi in una certificazione automatica della conclusione del ciclo di studi superiori: una formalità, non più un “rito” di ingresso nell’età adulta (come quello della patente, che dà ai ragazzi una vera autonomia) e tanto meno una dimostrazione di come saranno gli esami universitari o colloqui di lavoro, che invece hanno tassi di insuccesso molto più alti e reali.
Al di là delle intenzioni dei ragazzi “ribelli” dell’esame di maturità di quest’anno, di fatto basta soltanto sedersi alla prova orale per poterlo passare senza problemi.
Tutto ciò dovrebbe far riflettere su cosa significhi oggi “esame” e su quanto i docenti agiscano da valutatori o, invece, da semplici burocrati.
Per avere un quadro ancora più completo, è utile integrarlo con i dati INVALSI 2025 presentati di recente alla Camera dei deputati.
Se si analizza la serie storica relativa a “Studenti e studentesse che raggiungono i traguardi previsti in Italiano al termine del secondo ciclo d’istruzione, per regione”, emerge come, a fronte di percentuali di promozione quasi al 100%, vi sia stato negli ultimi sei anni (dal 2019) un calo sensibile delle percentuali di studenti che raggiungono i traguardi attesi nelle discipline.
Per quanto riguarda la lingua italiana, tutte le regioni hanno registrato un calo compreso fra il 2% e il 21% di alunni che non hanno raggiunto i traguardi. Alcuni esempi:
– Calabria: dal 45% al 43%
– Provincia autonoma di Trento: dall’83% al 62%
– Lombardia: dal 78% al 62%
– Emilia-Romagna: dal 72% al 58%
– Sardegna: dal 55% al 42%
Il Rapporto afferma che questi cali non dipendono soltanto dall’ondata del Covid, ma da una situazione più strutturale della scuola italiana.
Anche per la matematica la situazione è analoga, con regioni come Liguria e Piemonte che hanno visto cali fino al 16%.
Numeri così scoraggianti pongono interrogativi: come è possibile che, a fronte di una crescita di studenti che non raggiungono i traguardi di apprendimento stabiliti nelle discipline, la percentuale dei promossi sia rimasta costante e la media dei voti dell’esame di maturità sia addirittura aumentata?
Tra il 2015 e il 2019 la media nazionale dei voti di uscita all’esame di maturità era a 76-77 su 100, con circa il 7% degli studenti che otteneva il punteggio massimo 100 o 100 e lode; negli ultimi due anni, la media si è attestata fra 78 e 79, con circa il 10% che ha raggiunto il voto massimo.
Verrebbe da pensare che, anche in caso di una futura riforma dell’esame di maturità – persino nella direzione indicata dal ministro Valditara, che prevede un voto minimo nelle prove e l’obbligo di rispondere alla prova orale, pena la bocciatura – la percentuale di promossi e la media dei voti rimarrebbero comunque invariate.
Spingere ad una riforma dell’esame oggi ha come unico scopo quello di “punire” quei ragazzi che stanno denunciando la crisi della scuola italiana, senza però andare a risolvere le cause profonde che la affliggono.
Le proposte lette nel dibattito recente rischiano di non cogliere la lenta agonia di una scuola che i ragazzi subiscono e denunciano: a mio avviso, non sono loro il problema.
È necessario creare nuove strade, non semplici riforme di contenuti o norme che aggiungono solo burocrazia.
A tal proposito, un recente articolo sul Corriere della Sera – firmato da Tommaso Agasisti e Lidia Rossi e basato su uno studio del Politecnico di Milano in collaborazione con INVALSI – suggerisce azioni concrete per contenere la “dispersione scolastica implicita”. Quest’ultima indica quei casi in cui, pur conseguendo il diploma, gli studenti non riescono a raggiungere le competenze minime secondo i test INVALSI.
Si tratta di un fenomeno meno visibile rispetto all’abbandono scolastico, ma comunque con gravi conseguenze, come la perdita di opportunità e l’aumento delle disuguaglianze.
Lo studio evidenzia che per migliorare i risultati degli studenti sarebbe fondamentale: rafforzare la scuola dell’infanzia; sostenere le famiglie in difficoltà; migliorare la comunicazione tra scuola e famiglia; ridurre i cambi di scuola e l’assenteismo tra i docenti; investire nella formazione degli insegnanti e nella continuità didattica.
Anche in questo caso risulta evidente che, per ottenere risultati veri e duraturi sugli alunni, occorre investire sul percorso scolastico e sulle relazioni tra i diversi soggetti che compongono la scuola; non basta cambiare sull’onda emotiva la prova finale di maturità che, dati alla mano, oggi promuove anche chi non ha raggiunto i traguardi previsti.
I ragazzi non tollerano più l’ipocrisia degli adulti, che presentano lo studio come una gara di performance, ma poi trattano tutti allo stesso modo, senza riconoscere davvero il merito.
Lo scopo della scuola deve tornare a essere la valorizzazione dei talenti individuali lungo l’intero percorso educativo, e non la conservazione di una struttura burocratica e di potere.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
