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Home » Educazione » SCUOLA/ Che cosa divide (oggi) un esame di Stato serio da un rito inutile?

  • Educazione

SCUOLA/ Che cosa divide (oggi) un esame di Stato serio da un rito inutile?

Gli studenti dell’ultimo anno delle superiori sono giovani esigenti e maturi. Loro stessi chiedono un esame di Stato serio. Il ministero è all’altezza?

Daniela Muzio, Raffaela Paggi
Pubblicato 25 Aprile 2020 - Aggiornato alle ore 07:58
scuola_studenti_1_lapresse_2017

(LaPresse)

“Vorrei che la maturità fosse per me l’occasione di verificare il metodo di ricerca appreso in questi anni per affrontare un problema di mio reale interesse”. Questa una delle tante e preziose osservazioni emerse durante un’assemblea online con una classe quinta del Liceo scientifico della Fondazione Grossman, a cui hanno partecipato studenti e docenti per condividere attese, domande, riflessioni in relazione all’esame di Stato, la cosiddetta “maturità”.


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Si è acceso in questi giorni il dibattito sull’importanza che rivestirebbe per i ragazzi poter affrontare l’esame in presenza, quasi a celebrare un rito di passaggio necessario alla loro maturazione. A noi pare che la posta in gioco nel fatto educativo, e quindi anche in relazione alla conclusione degli studi medi, sia molto più alta che azzeccare la forma più opportuna dell’esame o celebrare un rito: è urgente garantire la possibilità, anche in questa circostanza, di incrementare la consapevolezza di sé, di prendere coscienza e giudicare nel paragone con adulti interessi, interrogativi, scelte compiute e da compiersi, come auspicato da Mariella Carlotti nella Lettera aperta alla ministra Azzolina sull’esame di Stato.


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E questi nostri ragazzi, che nell’età più esplosiva e più bisognosa di incontri e confronti, hanno dovuto chiudersi in casa, seguire lezioni a distanza, fare i conti con la paura, la malattia, in alcuni casi la morte di persone care, oseremmo dire che sono già maturi. Forse più maturi di noi adulti, spesso incapaci di obbedire alle condizioni che la realtà impone ed erroneamente convinti che i sistemi da noi ideati siano in grado di tenere sotto controllo la realtà. Che invece ci sta sfuggendo di mano in tutti gli ambiti di cui ci sentivamo padroni.

Ci facciamo dunque portavoce delle istanze dei nostri studenti, nella speranza che possano giungere alle orecchie di chi in questi giorni si sta occupando di dare forma e contenuto all’esame finale, in un contesto che comprendiamo non essere facile, anche per le differenze di possibilità, strumentazioni, condizioni sanitarie delle diverse zone d’Italia. Difficile per chi deve decidere ipotizzare in tale situazione una forma unica per lo svolgimento dell’esame, ma il criterio di fondo può essere uno: favorire innanzitutto la mossa personale di ogni studente, confidando nel fatto che i nostri giovani hanno in sé le risorse per comprendere, conoscere e giudicare.


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Sono i ragazzi stessi a chiedere che l’esame sia serio, non nel senso di arcigno e severo, ma di preparato con serietà e ricco di senso. Che gli argomenti dibattuti siano di loro reale interesse, che si lasci decidere a loro quale problema vogliono mettere a tema, e che i docenti li guidino a osservarlo nella sua complessità, forniscano loro gli strumenti per passare al vaglio i contenuti studiati, al fine di trovare in essi strade di possibili risposte e soluzioni, confrontandosi con chi è stato proposto loro come autorevole nei vari campi del sapere e ipotizzando nuove vie per affrontarlo.


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Non sono né poche né banali le domande sorte nei ragazzi in questo periodo e stupisce che non abbiano paura di confrontarsi con esse, anzi che desiderino affrontarle in tutta la loro portata, anche per capire se quanto è stato loro proposto nel percorso scolastico offra qualche contributo di risposta. Una bella sfida anche per i loro docenti, che non possono esimersi dal fare la stessa verifica!

Per impostare con serietà il lavoro preparatorio all’esame, in cui potranno finalmente dar voce alle loro riflessioni e all’esito della loro ricerca, occorre tempo: molti studenti hanno dichiarato improvvida la scelta dell’argomento in concomitanza dell’esame, come accadeva con l’estrazione dei cosiddetti “bustoni”: una ricerca ben fatta richiede pazienza e dedizione per poter giungere a conclusioni sensate. Meglio allora dedicare la parte finale dell’anno scolastico alla preparazione del proprio elaborato, mantenendo vivo il dialogo con i docenti e il confronto con i pari.


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È soprattutto la dimensione comunitaria dell’apprendimento, infatti, che alcuni ragazzi hanno scoperto essere il motore della motivazione allo studio e il sostegno alla libertà personale: una studentessa diceva di aver compreso quanto ancor più che le spiegazioni dei docenti, fruibili anche online, in questo periodo le è mancato il confronto assiduo con i compagni, perché assumendo il punto di vista gli uni degli altri è più facile verificare le proprie idee, aumentare le proprie conoscenze, orientarsi, ad esempio nella scelta dell’università.

La lezione di scuola non è un fatto privato: esiste una dimensione comunitaria dell’apprendimento che dalla scuola online viene fatalmente mortificato. Non è segno questo di maturità? Aver compreso che alla base di ogni vera argomentazione c’è l’interesse alla verità e che il fondamento della convivenza civile è l’orientamento al bene proprio e altrui è una conquista, che a quanto pare, non molti adulti testimoniano di aver compiuto.


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Il discrimine tra un esame di maturità serio e una farsa non consiste dunque innanzitutto nelle modalità di realizzazione, ma nella sua capacità di porre le condizioni, sia in fase preparatoria sia nel suo svolgimento, affinché accada un dialogo adulto tra docenti e studenti intorno a tematiche semanticamente, culturalmente ed esistenzialmente dense.

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