Disturbi neuropsichiatrici, del neurosviluppo, dell’apprendimento, del linguaggio, patologie neurologiche, stati d’ansia: a scuola serve un nuovo approccio
Diversi quotidiani e periodici, in questo periodo, riportano la notizia che nello scorso anno, secondo i dati del sistema sanitario lombardo, sono stati oltre 150mila i bambini e adolescenti curati per disturbi neuropsichiatrici e neurologici solo in Lombardia, di cui 124mila assistiti negli ambulatori e 28mila in pronto soccorso. Il “Corriere della Sera” parla di un “allarme disperazione giovanile”.
Dopo il periodo del coronavirus in particolare il numero dei giovanissimi sofferenti di problemi gravi di disagio è aumentato e ci si aspetta che nel 2025 ci sia un’ulteriore crescita del 18%. Il “Corriere” stesso riporta che il tempo medio trascorso in pronto soccorso da questi adolescenti cresce.
I loro disagi rappresentano un problema assai complesso, quindi diventa difficile trovare un reparto in cui possano essere accolti ed è inoltre difficile trovare strutture che si prendano cura di loro dopo aver lasciato gli ospedali.
Circa il 6% viene definito “bed blocker”, appunto, perché occupa il posto letto degli ospedali per tanto tempo impedendo ai nuovi pazienti di essere ricoverati. Non sono più confortanti le notizie che arrivano in tal senso dal resto dell’Italia.
All’interno di questo quadro desolante, è frequente imbattersi in articoli, conferenze, dibattiti e tavole rotonde che mettono sul tavolo degli imputati – come cause originanti di tali fenomeni – ora le famiglie, ora la scuola, ora i media, offrendo una gamma di definizioni e soluzioni tanto assolute quanto affrettate.
Altro pericolo, allo stesso tempo, è quello, da un lato di una demonizzazione dell’uso dei farmaci psichiatrici e della medicalizzazione dei disagi, dall’altro dell’assoluta necessità del ricorso agli stessi per una efficace terapia curativa.
Ciò che è importante oggi invece è non cadere nel rischio delle generalizzazioni e degli slogan facili.
Innanzitutto non si può fare un unico fascio di patologie neurologiche, neuropsichiatriche e psicopatologiche, visto che dentro questi capitoli ci sono varie famiglie di problemi: malattie metaboliche, paralisi cerebrali, disturbi del neurosviluppo, disturbi di apprendimento, del linguaggio, fino alla psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza.
Insomma ci troviamo di fronte a diversi quadri patologici diversi tra loro e sarebbe opportuno cominciare a dettagliare e a circoscrivere bene ciò di cui vogliamo parlare nei nostri interventi.
Detto questo, quando si dice “disagio adolescenziale” nei media, oggi ci si riferisce soprattutto ai disturbi d’ansia, disturbi depressivi, autolesionismo, tentativi di suicidio, ritiro sociale, dipendenze; fenomeni comportamentali e sociali che hanno un forte impatto nelle nostre famiglie. In questi casi è utile parlare di patologia o di disagio esistenziale?
Anche in tal caso, rispondendo a una domanda così, si rischia di banalizzare e di finire in definizioni assolute e generali.
La verità è che ogni individuo è a sé: dietro a certe reazioni di un ragazzo c’è un mondo ogni volta diverso. Possiamo trovare situazioni sociali o familiari difficili, povertà, migrazioni, eventi stressanti nella vita… Non si può veramente generalizzare dando delle linee univoche di comprensione del fenomeno.
Certamente è reale un aumento di queste problematiche e sicuramente nei ragazzi si nota una maggiore solitudine, una chiusura in se stessi; è altresì vero che viviamo una società che si basa su performance e aspettative; ma è comunque bene fuggire da indicazioni generalizzanti, per tornare a un umile, vero, consistente incontro con l’altro. L’altro nella sua unicità e diversità.
Come fare questo passaggio epocale (della nostra mens)? Lasciando da parte le grandi idee e dichiarazioni e tornando invece all’esperienza, al soggetto singolo. In questo senso, è interessante ricordare quando il grande Roland Barthes, in seguito a un avvenimento “intimo ed infimo” finché si vuole, la morte della madre, fu spinto a cambiare totalmente la sua adesione ai principi generali del modernismo a cui aveva sempre aderito. Il filosofo Finkielkraut commenta: “Un avvenimento è qualcosa che irrompe dall’esterno. Un qualcosa di imprevisto. È questo il metodo supremo della conoscenza. Bisogna ridare all’avvenimento la sua dimensione ontologica di nuovo inizio”.
Parlando dello stesso Barthes, Finkielkraut scrive che egli intendesse iniziare “una nuova vita e cioè una pratica della scrittura che gli permetta di uscire da se stesso, portandolo non più alla “‘arroganza della generalizzazione’, ma alla simpatia con l’Altro”.
Anche in questo campo del “male giovanile” bisogna scendere dall’arroganza della generalizzazione al vero incontro con il singolo ragazzo, la singola storia.
Un piccolo esempio: pensiamo alla questione tanto dibattuta sui giornali sul divieto assoluto di usare il cellulare a scuola introdotto quest’anno dal ministro Valditara. Giornali, esperti, psicologi hanno già da fine agosto iniziato una dialettica che aveva ingigantito enormemente la questione. Nella semplice esperienza quotidiana, in realtà abbiamo visto che nelle classi c’è stato un passo di consapevolezza e di responsabilità. Un’insegnante ha affermato con meraviglia: “Non ero più abituata a questo rumore e al sentire chiacchierare in classe; con i cellulari tutti gli studenti stavano zitti a seguire di nascosto i loro schermi!”.
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