Struggimento per il destino: questo è il pensiero che viene a tanti educatori, guardando chi li segue. Nell’anno del Giubileo, un’idea di scuola

Che impressione quelle immagini di bambini che giocano tra le rovine delle loro case distrutte dalla guerra, a volte con le armi in mano! O quelle di piccoli migranti che affrontano viaggi mortali per venire nel nostro Occidente!

Ci sono poi i numeri che descrivono realtà tremende. Per esempio: 19mila sono i minori stranieri non accompagnati censiti in Italia nel 2024; 130 milioni i bambini nel mondo senza accesso alla scuola, come descrive una ricerca di Save the Children, rimbalzata qualche giorno fa in molti giornali.



Chi darà loro la ricchezza della tradizione, la possibilità di pensare e di riflettere, chi darà a questi bambini il tempo indispensabile per crescere, chi gli restituirà il futuro? Dove finiscono questa infanzia e adolescenza? E dove il mondo?

Da docente, da genitore, piove nel petto uno struggimento per questi nostri cari bambini e giovani ed è lo struggimento per il loro destino, per ciò che sarà di loro, per cosa incontreranno nella vita più ancora di quello che faranno.



Lo stesso struggimento viene vedendo i bambini e i ragazzi giocare all’intervallo nel cortile della nostra scuola, o nel momento in cui i genitori li vengono a prendere, oppure dialogando nei tanti colloqui con famiglie e con ragazzi di fronte ai normali insuccessi scolastici o di fronte a vicende ben più gravi che li toccano e li coinvolgono.

Si resta col fiato sospeso e l’amaro in bocca, ma senza cedere al cinismo nasce anche la domanda: cosa posso fare? cosa posso dare? Anzi: cosa ho ricevuto che posso dare?

Qui ci soccorre l’anno santo del Giubileo: la cosa da ricevere per poter affrontare ogni istante, in aula o in ufficio, e perciò la cosa da dare ai nostri piccoli è la speranza. “La speranza, insieme alla fede e alla carità, forma il trittico delle ‘virtù teologali’, che esprimono l’essenza della vita cristiana. Nel loro dinamismo inscindibile, la speranza è quella che, per così dire, imprime l’orientamento, indica la direzione e la finalità dell’esistenza credente”. Così la bolla di indizione dell’Anno Santo.



Nell’esperienza ho visto la speranza nello sguardo sicuro di stima che un adulto porta ad un piccolo che magari sbaglia o che fa tanta fatica, e non solo per dire “ce la possiamo fare”, ma per comunicare la certezza che il bene vince sempre sul male.

L’ho vista quando uno studente affida ad un docente il suo casino perché ripone in lui una certezza di risposta che non sta tanto nel ricevere istruzioni per l’uso o nel come comportarsi in quella situazione, ma nello stesso sguardo di quel prof. Sa infatti che quel docente custodisce per lui la certezza del bene che ancora c’è e guarda lui stesso come un bene. Già solo nel suo ascolto si affaccia la speranza perché il docente c’è ed è lì per lui.

L’ho vista riaccadere quando ci si mette assieme in famiglia, al lavoro, con gli amici per guardare alle inevitabili fatiche quotidiane, pieni del bene ricevuto e disponibili a farsi cambiare dal bello che qualcuno vive e racconta. Se io non ce l’ho, soccorre presto l’aiuto di un altro che vive vicino a me o che con me lavora.

Il sacerdote che nella nostra diocesi segue gli insegnanti di religione, una mattina, dopo la messa che diciamo da qualche tempo nella chiesetta dell’istituto, reagiva ad alcuni episodi che raccontavo della vita delle nostre scuole: “Sì, la scuola è un luogo di speranza!” E mi è tornato in mente che all’inizio della tregua in Palestina, alcuni ragazzi di Gaza, a chi gli chiedeva di cosa avessero bisogno, avevano risposto come prima cosa e fondamentale: “Vogliamo tornare a scuola, perché vogliamo il futuro! Vogliamo riprenderci la nostra vita!”.

Mi torna allora la voglia di fare il mio lavoro, stando in classe, costruendo con i miei colleghi-amici quest’opera che abbiamo ereditato, perché davvero la scuola possa diventare uno dei luoghi di speranza di cui abbiamo bisogno.

Abbiamo bisogno di luoghi scolastici in cui gli adulti, i genitori e i docenti, comunichino una ragione certa per vivere, comunichino la speranza, mostrando con le loro vite che i tanti desideri che muovono i bambini e i ragazzi in ogni loro azione, avranno certamente una risposta buona.

Nella speranza diventano utili l’istruzione, l’educazione, o le famose soft skills, perché trovano un motivo per essere insegnate dall’adulto e messe in atto dal bambino e dal ragazzo.

In questo Giubileo della Speranza proprio la scuola può essere una Porta Santa.

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