L'Italia continua a scontare un gap importante, rispetto agli altri Paesi Ocse, a livello di competenze utili nel mondo del lavoro
Una volta fatta l’Italia, ci spronava ormai oltre 150 anni fa Massimo D’Azeglio, intellettuale e politico italiano della seconda metà dell’800, bisognava fare gli italiani. Un ruolo fondamentale in tal senso ha svolto, con toni probabilmente troppo retorici rispetto a oggi, in questa funzione la scuola. Una scuola che, per molti anni, si poneva, “banalmente”, l’obiettivo di insegnare ai ragazzi a “leggere, scrivere e far di conto”.
Oltre un secolo è passato, il mondo, e ovviamente la scuola, è profondamente cambiato, occorrono competenze adeguate al mercato del lavoro e nuove forme di analfabetismo, più o meno funzionale, interessino una parte ancora molto (e troppo) ampia della popolazione.
Ce lo ricorda il Rapporto “Education at a glance 2025” pubblicato nei giorni scorsi dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico dei Paesi “più sviluppati”.
Emerge, così, che, nel nostro Paese, quasi il 40% degli adulti ha un basso livello di alfabetizzazione. È in grado, sostanzialmente, di leggere, senza distrarsi, solo un testo molto breve con poche informazioni. Ci siamo, insomma, forse troppo abituati alla comunicazione veloce, ed essenziale, che rimane entro i 140 caratteri di un famoso social network. Si consideri che, negli altri Paesi dell’Ocse, questo dato è di circa 10 punti inferiore.
Sono, inoltre, ancora troppo poche le persone che, in Italia, si laureano, in particolare le donne e negli ambiti strategici delle facoltà STEM (quelle a maggior contenuto scientifico-tecnologico) particolarmente richieste dalle imprese. Si pensi che solo il 20% dei nostri ragazzi si laurea in questi ambiti maggiormente scientifici mentre, più complessivamente a livello Ocse, quasi il 50% dei giovani possiede un titolo che va oltre la “scuola superiore”.
Buono è, in questo contesto, il dato relativo all’abbandono scolastico (sotto il 10%) anche se bisogna sottolineare come vi sia un significativo invecchiamento della nostra popolazione. Tra le altre cose, negli ultimi dieci anni, si è ridotto di un quarto il numero di bambini sotto i 4 anni.
Sembra, insomma, che molto ci sia ancora da fare. Solo un Paese “competente” può essere, oggi, infatti, anche “competitivo” sul piano economico.
La sensazione, purtroppo, è che il poco ambizioso, specialmente se calibrato alle esigenze dei nostri tempi, obiettivo di saper “leggere, scrivere e far di conto”, magari legato alla digitalizzazione e attento alle esigenze del mercato del lavoro, rimanga, per il nostro Paese un traguardo ancora valido per una fascia ancora molto importante della nostra società.
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