Una circolare del ministro Valditara invita a riflettere sui compiti a casa: spesso sono un peso che distoglie dalla comprensione, cuore della scuola

Il ritorno a scuola dopo Pasqua e il ponte del 25 aprile ha fatto emergere un malessere diffuso: molti studenti, soprattutto nelle scuole medie e superiori, hanno raccontato di aver trascorso le vacanze chini sui libri, tra esercizi, ripassi e temi. Un periodo che avrebbe dovuto essere di riposo si è trasformato in un’estensione faticosa delle attività scolastiche.



Proprio in questi giorni è arrivata una circolare firmata dal ministro Valditara che invita le scuole a riflettere su due aspetti cruciali: la distribuzione dei compiti a casa, soprattutto durante le festività, e l’organizzazione delle verifiche scritte. Il testo, sintetico ma chiaro, chiede un uso più equilibrato del tempo extrascolastico, richiamando l’attenzione su un tema che da anni divide famiglie, insegnanti e pedagogisti.



I compiti sono utili? Fanno bene o male? Le posizioni sono molte e spesso opposte. C’è chi li considera indispensabili per fissare le conoscenze, abituare alla disciplina, stimolare l’autonomia. Ma c’è anche chi ne denuncia l’abuso, il carico eccessivo, gli effetti negativi sul benessere dei ragazzi. Molti genitori si trovano in difficoltà, chiamati ad affiancare i figli in un lavoro che non sempre comprendono o condividono. E spesso il sostegno familiare fa la differenza, creando disuguaglianze tra chi può contare su un aiuto a casa e chi no.

Il problema, allora, non è tanto “compiti sì o no”, ma quali, quanto, come e perché. Se servono a consolidare ciò che si è fatto in classe, devono essere calibrati sull’età e sul percorso di ciascuno. Devono avere uno scopo chiaro, essere corretti, discussi, valorizzati. Altrimenti diventano solo un dovere da sbrigare, fonte di stress e motivo di rigetto. Spesso i docenti non correggono i compiti e non usano nemmeno la correzione dei compiti durante l’interrogazione.



La circolare, per quanto non vincolante, è un segnale importante: essa invita a un cambiamento culturale che riguarda non solo i compiti, ma l’intero impianto della didattica. Una scuola che punta solo sulla quantità, che misura tutto in voti e verifiche, rischia di trascurare ciò che conta davvero: la motivazione, il metodo, la comprensione profonda.

Ripensare i compiti significa ripensare anche il tempo, dentro e fuori dall’aula. Il tempo per studiare, ma anche per leggere per piacere, per fare sport, per stare con gli altri. È una sfida non da poco, ma necessaria, se si vuole costruire una scuola più vicina alla vita reale degli studenti.

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