I dirigenti che lavorano nella scuola hanno solo in parte un'estrazione prettamente giuridica. Questo ha vaste conseguenze nella gestione scolastica

I dirigenti che lavorano nel mondo della scuola provengono da carriere e formazioni diverse: quelli amministrativi, che lavorano al ministero o negli uffici periferici regionali, hanno seguito percorsi universitari perlopiù di natura giuridica o di scienze politiche; gli altri, quelli che guidano le scuole e che una volta si chiamavano direttori didattici o presidi, hanno compiuto invece studi eterogenei.



Questi ultimi, infatti, provengono dalla carriera docente e hanno una formazione coerente con la disciplina insegnata. Anch’essi, tuttavia, poiché si occupano di amministrazione, devono possedere una qualche conoscenza giuridica, in mancanza della quale corrono il rischio di errori che potrebbero gravare pesantemente sulle loro attività.



In caso di dolo o colpa grave, le responsabilità potrebbero configurarsi come personali e ricadere su di loro solidalmente. Tuttavia, come ha spiegato Sabino Cassese, prevale, ormai dal secolo scorso, una cultura giuridica formalistica, spesso dimentica o disinteressata ai risultati dell’azione amministrativa. Non a caso domina, anche sul piano dei controlli, la dimensione di quelli preventivi di legittimità, più che quella sugli esiti della stessa azione amministrativa.

Sembra che il sistema giuridico ponga unicamente il focus dell’attenzione sul rispetto della legittimità, cioè delle forme (che certamente non vanno trascurate), piuttosto che sulle conseguenze effettive delle scelte intraprese, cioè sugli output.



Da ciò deriva anche quel difetto dell’agire amministrativo che oggi è diventato un’autentica patologia, ispirato alla “difesa”, cioè alla tendenza compulsiva a evitare personalmente i rischi che inevitabilmente incombono sull’azione amministrativa, mai del tutto scevra di orientamenti discrezionali.

Del resto, la capacità di convincere il pubblico interesse, ispirata dal valore del “bene comune” che informa la natura delle istituzioni statali, comporta ineluttabilmente lo scontro con gli interessi particolaristici dei singoli soggetti.

È noto alle cronache che questi ultimi, per esempio i genitori degli alunni, sempre più spesso adottano comportamenti aggressivi (e non solo sul piano legale), se insoddisfatti delle valutazioni ottenute dalla loro prole. Una parte dei dirigenti, pertanto, preferisce l’arrendevolezza di fronte a soggetti esterni, ma anche interni, dotati di spirito combattivo (e magari sostenuti da avvocati bellicosi).

In questa prospettiva, l’orientamento ai risultati rappresenta una bussola fortemente orientativa negli atti che i dirigenti debbono compiere. Infatti, è proprio in vista dei possibili risultati che vengono compiute le scelte più coerenti e determinate. Da questo punto di vista, al di là delle condizioni soggettive, i presidi dispongono di una formazione più adatta alla dimensione scolastica degli altri dirigenti.

Anche se la preparazione giuridica – lo ripetiamo – è indispensabile, la possibilità di guardare il governo della scuola alla luce di altri punti di vista può consentire ai dirigenti delle singole istituzioni scolastiche, indipendentemente dalle qualità personali, di trattare uno sguardo più ampio e più fortemente indirizzato ai risultati.

La prospettiva di altri approcci amministrativi, provenienti da ambiti disciplinari eterogenei, particolarmente quelli tecnici, rappresenta senz’altro un arricchimento e un modo di superare quella “amministrazione difensiva”.

La storia della pubblica amministrazione (si vedono le ricerche di Guido Melis) ha dimostrato che, in tempi ormai lontani, il connubio tra l’approccio giuridico e quello tecnico ha partorito i frutti migliori. Da questo punto di vista, la dirigenza amministrativa delle scuole, quella proveniente da studi giuridici, oltre ai limiti dovuti alla formazione, subisce alcuni blocchi più gravi (sempre aldilà delle qualità individuali) e cioè quelli di conoscere ben poco della vita scolastica effettiva. Molti di quei dirigenti che lavorano nelle istituzioni centrali e periferiche non sono mai entrati in una scuola e non hanno avuto modo di sperimentare concretamente quella realtà.

Ciò nonostante, essi possiedono poteri di non poco conto, alcuni dei quali correlati ad ampi margini di “legittima” discrezionalità, che comportano fra l’altro la possibilità di scegliere tra i dirigenti scolastici coloro che poi vengono distaccati dalle scuole e sono “comandati” a gran parte dei ruoli ispettivi. In sostanza, nel mondo scolastico, si ha una duplice tipologia dirigenziale che non favorisce la vita delle scuole, proprio per le differenze, talvolta contrastanti o divergenti, nel modo di affrontare le questioni educative.

Forse proprio in questo quadro si spiega il fatto che l’Ufficio scolastico della Toscana non ha aperto uno stand in occasione di Didacta 2025, né ha partecipato al convegno che, come Associazione Nazionale dei Dirigenti Pubblici e delle Alte professionalità della Scuola (ANP), abbiamo tenuto, il 21 e 22 marzo scorsi, nell’auditorium di Sant’Apollonia a Firenze.

Si è trattato di un convegno dal titolo Didattica e neuroscienze: tra approcci consolidati e nuovi orizzonti, con il quale abbiamo inaugurato un dialogo, che ci auguriamo possa proseguire, tra il punto di vista pedagogico-didattico e quello delle neuroscienze. È evidente che le tematiche educative non risultano agevoli all’Ufficio scolastico regionale, che si occupa sostanzialmente di questioni diverse. Tuttavia, non possiamo fare a meno di osservare che ciò accade mentre la Toscana si candida a essere un centro nazionale di riflessione in ambito educativo, grazie alle iniziative testé menzionate e alla presenza di un’istituzione importante come Indire.

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