La proposta di Formigoni di non votare se il governo non sosterrà le scuola paritaria va condivisa. Se non si trovano i soldi perde il sistema educativo
Non è solo provocatoria ma francamente interessante la proposta che Roberto Formigoni, ex presidente di Regione Lombardia, ha formulato di recente su queste pagine (e in precedenza al convegno dello scorso marzo in occasione del 25esimo anniversario della legge 62/2000 sulla parità).
In estrema sintesi: o si trovano i soldi per garantire la libertà di scelta educativa ai genitori italiani, con un patto di legislatura, oppure si ricorre allo sciopero del voto. Effettivamente è paradossale che a 25 anni dalla legge sulla parità chi sceglie una scuola paritaria per i figli debba pagare una retta, dopo aver pagato le tasse.
Oltre al paradosso, si aggiunge il dramma: la chiusura delle scuole paritarie. Il sistema scolastico italiano, infatti, si sta dirigendo, magnis itineribus, verso un sistema caratterizzato dal monopolio educativo da parte dello Stato. Per via della mancata garanzia, nei fatti, del diritto alla libertà di scelta educativa da parte dei genitori, la percentuale del pluralismo educativo si sta riducendo sempre più, sino a scomparire se si guarda ad alcuni territori del nostro Paese, guarda caso quelli economicamente e culturalmente più fragili. Chiaramente non voglio negare l’importanza dei passi compiuti, soprattutto a partire dai tempi della pandemia, da parte dei governi che si sono succeduti, a sostegno delle famiglie che hanno scelto per i propri figli una scuola paritaria. Sed non sufficit. In Italia lo Stato è divenuto, negli anni, gestore pressoché unico del servizio di istruzione, garante di esso e controllore di sé stesso, esattamente come uno Stato totalitario.
È significativo che in quelle regioni (Lombardia e Veneto in primis) dove sono state avviate politiche di sostegno alla libertà di scelta educativa, gli standard di apprendimento degli studenti, come ci dicono i dati INVALSI, sono superiori alla media nazionale e in linea con gli standard europei.
Le scuole paritarie, nate per colmare il divario sociale, dopo essersi indebitate, ricevendo 500 euro per anni, da due anni 750, a fronte di un costo di 7.300 euro per studente – il cosiddetto Costo Medio Studente, così come definito, ogni anno, dal ministero con circolare apposita – e una retta pagata a fatica dalle famiglie pari a 2.500-3.500 euro, hanno dovuto chiudere i battenti, privando il Paese di presidi di libertà.
Le scuole paritarie, inoltre, continuano a ricevere accertamenti IMU: come possono le scuole pagare queste somme a fronte di un alto indebitamento, avendo da anni sostenuto il delta fra il costo dello studente di più di 7mila euro e contributi di 750 euro con le famiglie che non potrebbero pagare una retta corrispondente?
Qualora i 774.593 allievi delle scuole paritarie (allievi dell’anno scolastico 2023-24 esclusi Valle d’Aosta e il Trentino), che costano allo Stato euro 753.730.089, si dovessero riversare nella scuola statale, essi costerebbero ben 5,6 miliardi di euro. Questa, dunque, è la situazione: urge un intervento repentino e radicale.
Il pluralismo educativo è reale garanzia della democrazia di uno Stato: dobbiamo renderci conto che solo una scuola seria e libera forma cittadini seri e liberi. Chiaramente anche le scuole paritarie devono tutte dotarsi di un sistema di gestione efficiente, ossia in grado di conciliare solidarietà ed efficienza. Solo un cambiamento radicale, con la garanzia del diritto alla libertà di scelta educativa, può far sì che nuovi fondatori di scuole paritarie possano operare, sotto lo sguardo garante e controllore dello Stato.
Rinnovo il mio appello alla premier Meloni, affinché possa intervenire, agendo a tutto vantaggio della società tutta ma, in particolare, dei cittadini culturalmente ed economicamente più fragili. A loro occorre pensare quando si parla di formazione.
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