SCUOLA/ “Ius scholae”, facciamo sì che la cittadinanza aiuti (anche) il rendimento

- Lorenza Violini

La commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato il testo base sullo "ius scholae", che fissa nuove regole sulla cittadinanza. Una scelta opportuna

scuola quarantena classi (LaPresse)

Si riparte con una proposta di legge di riforma delle regole sulla cittadinanza. L’attuale disegno di legge, il cui iter  ha preso avvio con il testo base approvato il 9 marzo dalla commissione Affari costituzionali della Camera, non contiene una proposta organica e di grande impatto come sarebbe stata quella del 2015, quando si progettò di modificare l’attuale assetto normativo basato sullo ius sanguinis (secondo cui la cittadinanza dei nati in Italia viene acquisita sulla base di quella di almeno uno dei genitori) e orientarlo verso il principio, alternativo, dello ius soli (cittadini italiani sarebbero coloro che sono nati in Italia, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori).

Il testo, approvato – non senza una certa sorpresa – anche da Forza Italia, oltre che dal Pd e dal Movimento 5 Stelle, dalle cui fila proviene il proponente, l’onorevole Giuseppe Brescia, prevede una riedizione di quello che in passato era stato etichettato come ius culturae e viene oggi definito come ius scholae. Il nuovo assetto normativo prevede che i ragazzi nati in Italia o giunti nel nostro Paese entro i 12 anni, se frequentano almeno 5 anni di scuola, maturano i requisiti per fare la richiesta della cittadinanza.

Si tratta di una scelta opportuna. Non è sensato che ragazzi che hanno fatto un percorso di integrazione vengano trattati in modo diverso dai loro coetanei, pienamente cittadini per il solo fatto di essere figli di genitori italiani. Non è più tempo di irrigidire, come accade oggi, i requisiti di accesso alla cittadinanza, senza della quale l’integrazione procede a rilento e sotto il peso della burocrazia, che tiene ferme le domande per molto tempo dopo che la domanda stessa è stata inoltrata, spesso con disagi da parte dei diciottenni, alcuni dei quali, se tornano nel Paese d’origine, rischiano di non poter tornare a casa per sottostare a obblighi di leva o incontrare altre forme di limitazione. Ed è anche importante che lo Stato si mostri amico di queste persone, spesso impegnate con i loro studi per ottenere un miglioramento delle loro condizioni di vita.

Questo passo, dunque, deve essere salutato con favore, anche nell’ottica del superamento di certe divisioni partitiche che ostacolano scelte aperte a riconoscere il valore della persona e dei suoi percorsi, soprattutto se si accentuerà la necessità che non sia stata solo una frequenza senza risultato, ma che il beneficio sia uno stimolo a fare sempre meglio anche sul piano scolastico.

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