Alcuni giorni fa Repubblica titolava in prima pagina “La scuola è finita”. Quasi tutta la stampa nazionale in questi ultimi giorni dà come assodato che la scuola non riprenderà il 18 maggio per cui tutto resterà chiuso fino a settembre. In tv domenica sera il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli ha dichiarato: “Personalmente penso che si possa fare una riflessione per posporre la riapertura delle scuole al prossimo anno”. L’ipotesi della chiusura tuttavia è ancora basata sui numeri del contagio di metà aprile e gli esperti del comitato tecnico-scientifico non si sbilanciano su eventuali previsioni.
Tuttavia nel dibattito odierno manca un elemento che a questo punto è doveroso suggerire. Il riavvio progressivo del sistema produttivo non può infatti prescindere dalla riapertura delle scuole, perché mentre i genitori tornano al lavoro, i bimbi e i ragazzi più piccoli sino all’eta di 14 anni certo non possono rimanere a casa per l’intera giornata.
Non si tratta di numeri di poco conto. Secondo i dati Istat 2018 i bimbi 0-6 anni (nido, primavera e infanzia) sono 2.966.125, quelli della primaria 2.822.655 e quelli delle medie 1.721.057. Un esercito di 7.509.837 minori che non possono essere lasciati a se stessi e che nelle cautele del distanziamento sociale per proteggere gli anziani non potranno totalmente gravare sui nonni.
Già in questi giorni, a parte le pubblicità e gli entusiasti cantori dello smart working, nelle famiglie reali è emerso un problema serio. Diventa difficile gestire i bambini quando mamma e papà devono stare incollati al computer per tutta la giornata. Nell’edulcorato mondo della carta stampata, delle tv e della pubblicità, appaiono articoli e immagini di genitori felici che giocano gaiamente con i figli. Raccontava una coppia su un quotidiano milanese che stare chiusi in casa con due bimbi di 3 e 5 anni, mentre si è costretti a stare concentrati su mail, messaggi e contatti vari, mentre un bimbo chiede da bere e l’altra strilla alzando a livelli impossibili i decibel dell’appartamento, diventa una fatica di Ercole.
I cugini francesi pare stiano già pensato alla riapertura e il presidente Macron ha dichiarato a reti unificate che il ritorno, seppur graduale, è previsto per l’11 maggio. La Germania pensa al 4 maggio, mentre in Danimarca e Norvegia è cosa di questi giorni e addirittura la Spagna, con una situazione epidemiologia peggiore di quella italiana, ha cominciato a riflettere sui tempi del rientro nelle aule scolastiche. Tutti pazzi?
Non proprio. I decisori politici stranieri guardano all’insieme della loro realtà economico–sociale e forse sembrano meno emotivi di quelli nostrani. La riapertura delle attività produttive è all’ordine del giorno dei governi di mezzo mondo, ma in Italia con il rischio di una perdita del Pil prevedibilmente intorno al 10% (secondo Confindustria) siamo ancora in alto mare.
I Cinque Stelle hanno la direzione del ministero dell’Istruzione e Lucia Azzolina ha confermato l’altro ieri al Corriere delle Sera che le scuole riapriranno a settembre. Al ministro tuttavia sembra sfuggire la gravità della situazione economica. Propone per tenere a casa oltre 7 milioni di minori l’estensione del congedo parentale e del bonus babysitter. Ha varato un decreto scuola (decreto legge 22/2020) poco prima di Pasqua che rimanda ogni decisone sulla fine dell’anno alla data magica del 18 maggio. Dice che è obbligatoria la didattica a distanza, come se i docenti non l’avessero ancora presa sul serio, ma ancora non ha deciso nulla. Demanda alla pubblicazione di due ordinanze che ancora non si sono viste i criteri per la valutazione finale e annuncia la costituzione di una commissione (l’ennesima) guidata da Patrizio Bianchi, ex assessore all’istruzione dell’Emilia-Romagna. In pratica a meno di due mesi dalla chiusura dell’anno scolastico non è ancora stato chiarito in che modo gli studenti delle superiori siano ammessi all’anno successivo, come si svolgeranno gli esami di maturità, in che modo formare il credito scolastico delle classi del triennio e se i consigli di classe debbano redigere il documento del 15 maggio.
Infine c’è stata la strisciante decisione di affossare in modo definitivo la scuola paritaria, nel silenzio generale delle forze politiche e dei media, ma che ha fatto insorgere dirigenti e gestori delle scuole non statali. L’emendamento al cosiddetto provvedimento “Cura Italia”, presentato da Italia Viva e da Forza Italia, atto a sostenere direttamente le scuole paritarie, integrava con appositi finanziamenti il mancati proventi delle rette scolastiche ma è stato bocciato. Il sostegno diretto alle scuole non statali è indispensabile anche per il fatto che la chiusura durerà non più due mesi, ma sei. Gli istituti paritari, non ricevendo le rette, non hanno altri proventi per mantenersi e gli ammortizzatori sociali difendono i lavoratori, ma non le aziende.
Eppure le paritarie con la loro flessibilità, che consente anche l’apertura a luglio e agosto, possono essere lo strumento per aiutare la ripartenza e la fase 2, quando l’Italia si dovrà rimboccare le maniche e risalire la china. Potranno accogliere i bimbi di tante famiglie che non avranno ferie e nel caldo del Ferragosto saranno costretti a lavorare. Ma il Pd di Zingaretti non è interessato alla scuola non statale e dopo vent’anni le intuizioni di Berlinguer sulla parità sembrano sepolte nel tempio della dimenticanza. Alla Lega di Salvini la libertà di educazione e il mondo delle paritarie, ricco di umanità e versatile, interessano solo sulla carta, mentre è osteggiato da M5s e dal governo di Giuseppe Conte. I Cinque Stelle sono ideologicamente contrari sin dai “vaffa day”, ritengono che in Italia ci debba essere solo la “scuola pubblica” e anche per ignoranza pensano che “la privata sia ricca e piena di soldi”, mentre non sanno che tutte le paritarie non possono avere scopo di lucro. La crisi del coronavirus per loro è una bella occasione per disfarsi una volta per tutte delle scuole cattoliche.