Il 9 dicembre Valditara ha firmato il decreto contenente le nuove Indicazioni nazionali. Il loro fondamento è stato trascurato dal dibattito
Da quando le Nuove Indicazioni nazionali sono state condivise in forma di bozza, il dibattito pubblico svoltosi nelle istituzioni, così come quello animato da giornali stampati e online, si è concentrato su alcune delle principali novità ivi introdotte: il rafforzamento dell’educazione linguistica sin dalla scuola primaria, lo studio del latino facoltativo nella secondaria di primo grado, la curvatura delle STEM in senso pratico. Solo per citarne alcune.
Ora che il documento è stato firmato dal ministro Valditara è necessario passare dal piano delle rappresentazioni a quello della realtà. In attesa che il ministero faccia partire le opportune misure di accompagnamento – le iniziative di supporto e formazione e le risorse finanziarie destinate all’attuazione delle nuove Indicazioni –, per le scuole non è più il tempo del confronto sul testo ma di farlo proprio, di renderlo vivo attraverso – è facile ipotizzare – il rinnovo dei Piani triennali dell’offerta formativa (PTOF), delle programmazioni di sezione, di classe ed interclasse, disciplinari.
Dovendo, nel mio piccolo e dalla mia personale prospettiva, dare un primo suggerimento alle scuole che nei prossimi mesi dovranno svolgere il lavoro collegiale di riscrittura del Piano e delle programmazioni, come didatta e studiosa di progettazione, dovrei suggerire di partire con la lettura approfondita del nuovo Profilo dello studente (integrato rispetto al DM n. 14 del 30 gennaio 2024) e gli obiettivi generali del processo formativo (per la prima volta in Italia allineati al Profilo) e, successivamente, di procedere col conseguente lavoro di allineamento delle competenze e degli Obiettivi specifici di apprendimento disciplinari.
Tuttavia, c’è una questione più urgente che preme e che vorrei condividere con le scuole, più del lavoro progettuale di allineamento, prima che questo venga fatto. È la questione della libertà.
Chi ha letto bene il documento delle Nuove Indicazioni si sarà certamente reso conto della centralità data alla libertà, definita un “bene” (p. 7), un “bene fondamentale” (p. 10). A differenza del testo delle Indicazioni del 2012, dove compare 8 volte, nel nuovo testo delle Indicazioni del 2025 il termine libertà è richiamato 24 volte, sia all’interno delle parti argomentative che nei contenuti di conoscenza disciplinare.
Il termine libertà fa il suo ingresso già dall’inizio, nelle Premesse culturali, in riferimento a due citazioni normative: l’art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona” e l’art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana – “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, rispettivamente nel paragrafo introduttivo Persona, scuola, famiglia (p. 6) e nel paragrafo introduttivo Scuola e nuovo umanesimo (p. 7).
Ma è nel paragrafo Libertà, cura di sé ed etica del rispetto all’interno della sezione Scuola e nuovo umanesimo delle Premesse culturali che la libertà viene affrontata, pur nella sua complessità teoretica, quale criterio educativo regolativo.
Il paragrafo esplicita in modo a dir poco icastico il rapporto che lega studente, scuola e libertà: “Il principio educativo che sottende la scuola, a partire dall’infanzia, è la centralità dello studente che è soggetto attivo del proprio apprendimento e che, grazie alla scuola, impara progressivamente a governare il bene della libertà” (p. 7).
Poco dopo, il paragrafo chiarisce ancora meglio: “Il contenuto originario della libertà si connota, dal punto di vista della formazione scolastica, come possibilità di autodeterminarsi nei diritti e nei doveri: principio universale che si collega col principio pedagogico dell’autogoverno, di matrice attivistica” (p. 8).

La scuola ha come primaria funzione educativa quella di favorire “progressivamente” nell’allievo la capacità di gestire – ossia di scoprire, conoscere ed esercitare – la sua libertà, connessa appunto alla “possibilità di autodeterminarsi nei diritti e nei doveri”, alla “capacità di pensare in modo critico e autonomo, di riconoscere i diritti e i doveri propri e altrui” (p. 8).
È appena il caso di richiamare qui il cosiddetto “paradosso della libertà” (E. Trotta; E. Laurenzi) secondo cui la libertà intesa in senso assoluto implicherebbe solitudine – irresponsabile estromissione dai vincoli di tipo sociale – e porterebbe all’annientamento – all’annullamento della condizione relazionale che sostanzia l’essere umano.
La radice del paradosso sarebbe tutta nella tensione tra “sistema” che imposta vincoli, che pone limiti e “individuo”, animato dal desiderio di libertà e disposto, per essere libero, per esercitare la propria libertà, a riconoscere tali limiti e ad accettare (o meno) gradi diversi di compromesso.
Proprio il limite sarebbe, quindi, la condizione di possibilità del “vero desiderio”, inteso non come pulsione immediata (necessità derivante dai bisogni biologici), ma come espressione della scelta responsabile, verso sé stessi e verso gli altri. “La libertà è oggi una questione di misura, di condizioni e di limiti”, non libertà assoluta, ma “situata, inquadrata nel reale, sotto condizione, relativa”, una “possibilità di scelta” (N. Abbagnano), legata a situazioni determinate.
La libertà proposta nel paragrafo delle Indicazioni nazionali non è intesa quindi in senso assoluto – come assenza di vincoli, se non quella del proprio impulso – ma come “possibilità, scelta motivata o condizionata”, da intendersi non come qualità innata dall’individuo ma come finalità che richiede impegno, intenzionalità educativa.
“La libertà non è solo autodeterminazione individuale, ma è una costruzione collettiva, che si sviluppa nel dialogo e nel rispetto delle diversità culturali, linguistiche, cognitive ed emotive presenti nella comunità scolastica”. Vale a dire: non c’è solo il tuo desiderio di libertà, c’è bisogno anche di una scuola voglia che tu sia veramente libero.
Le scuole del primo ciclo di istruzione possono e devono poter porre tra le finalità del proprio curricolo “l’educazione alla libertà”, l’interiorizzazione del “senso del limite” nonché “l’etica del rispetto verso il prossimo” e favorire così “lo sviluppo del senso morale e la comprensione del principio di autorità, conquiste interiori dell’uomo libero”.
Come farlo? Attraverso lo sviluppo della “capacità di pensare in modo critico e autonomo” e, parimenti, attraverso la conoscenza e il rispetto delle ‘regole’ “(regole di comportamento, ma anche regole tratte dai contenuti e dai metodi delle stesse discipline, come, p.e., le regole di grammatica o le regole dei giochi in palestra)”.
“In questo modo – sottolinea il documento – la scuola diventa il luogo in cui la libertà si trasforma in responsabilità, il pensiero in azione, l’identità in appartenenza a una comunità più ampia e inclusiva in cui tutti riconoscano in se stessi il senso del limite e imparino il valore delle norme che regolano la convivenza civile”.
Le scuole che si stanno preparando ad implementare le Nuove Indicazioni nazionali hanno l’occasione per ricentrare cosa conta davvero. L’educazione è valore fondamentale in quanto costitutivo della natura umana e l’educare è un atto generativo attraverso il quale l’essere umano comunica sé stesso e accompagna le generazioni future nel cammino della propria esistenza. “Occorre che essa (l’educazione) si chiarisca come libertà, come libertà genuina della volontà, e non come pura spontaneità né come puro fatto intellettuale che non può mai oltrepassare la soglia del determinismo” (G. Corallo). Una educazione non libera e determinata non sarebbe educazione. L’educazione è da intendere “propriamente, come lo sviluppo della libertà”.
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