Per comprendere il livello in cui sta sprofondando la società italiana, ormai orfana di ciò che un tempo ne era la pietra angolare e cioè la famiglia, può essere indicativo recarsi al Liceo ginnasio Torquato Tasso di Roma. Vera e propria istituzione (ci sono passati, tanto per dire, Ettore Majorana, Vittorio Bachelet, Giulio Andreotti, Paolo Mieli e gran parte dell’alta e media borghesia capitolina, compresa quella affine alla sinistra) con alle spalle oltre centotrent’anni di vita, “sicuro punto di riferimento nel panorama scolastico non solo romano, ma nazionale” si legge sul sito dell’istituto.
È qui – non, lo diciamo con rispetto, in una qualsiasi scuola professionale della provincia italiana – che due giorni fa è successo l’imprevedibile: i genitori si sono rivoltati contro il dirigente e il consiglio di istituto per aver affibbiato il 5 in condotta (che, se confermato a fine anno, porta dritto alla bocciatura) e la sospensione dalle lezioni per 10 giorni (con l’aggiunta dell’obbligo di frequenza pomeridiana di attività socialmente utili) ad un gruppetto di studenti che prima di Natale aveva occupato l’istituto impedendo il regolare svolgimento delle lezioni.
Apriti cielo: da un lato il ministro Valditara ha plaudito il doppio provvedimento scrivendo che “la scuola costituzionale, e dunque democratica è quella che insegna a rispettare le regole e a coniugare libertà con responsabilità”; dall’altro gli studenti hanno replicato che “mentre le istituzioni si complimentano a vicenda per la tutela dell’ordine democratico, quanto detto e fatto da loro fino ad ora risulta estremamente autoritario”.
Siamo alle solite, quasi fossimo tornati indietro di oltre mezzo secolo, all’autoritarismo di cui le rivolte del Sessantotto accusavano (a volte, ricordiamolo, a ragione) il sistema scolastico. Ma non è tanto questo penoso tentativo di camminare a ritroso nel tempo che preoccupa, quanto il suo contrario, vale a dire il pericoloso slancio in avanti operato dalle famiglie, qui come in altri casi sempre più diffusi generose nel mostrarsi ai loro pargoli, vessati da tanta ingiustizia, “più realiste del re”. In una lettera pubblicata sui social, i nuovi sessantottini affermano di volersi ispirare ad “una scuola democratica, che tanto viene decantata” al fine di “porre al centro le motivazioni politiche per cui ci battiamo, confidando di diventare per la prima volta parte attiva del dibattito politico”.
Cogliendo fior da fiore, notiamo en passant che tra le suddette motivazioni c’è anche “la necessità di vivere una scuola transfemminista”, aspetto che evidentemente non rientra però nei poteri di un singolo istituto, semmai alla politica parlamentare, ma che deve intralciare non poco la loro formazione culturale.
Che fine faccia in tutto questo l’azione educativa dei genitori, così preoccupati delle magnifiche sorti e progressive dei loro ragazzi in campo politico (neanche manifestassero la volontà di scendere in campo alle prossime elezioni di primavera) invece che nel campo degli studi proprio della loro età, risulta chiarissimo: confusa con la segreta aspirazione a vederli bruciare le tappe dell’esistenza, adulti prima del tempo anche senza avere immagazzinato le competenze necessarie a discernere ciò che è lecito da ciò che non lo è. Genitori à la page, pronti ad abbracciare e giustificare ogni desiderio dei loro figli, comprensivi verso ogni esigenza, richiesta, velleità. Anche senza che conoscano la grammatica italiana, come dimostrano in un passaggio della loro supponente lettera ai social: “Riteniamo fondamentale il nostro ruolo e siamo fiduciosi che la nostra risonanza mediatica, la maggiore in questo momento fra i licei, possa permettere la diffusione delle istanze comuni alle altre scuole che come noi speriamo che possano avere il proprio spazio ed essere ascoltate”. Del resto, in politica contano solo le idee e a volte nemmeno quelle.
P.S.: come sempre nel caso di occupazioni delle scuole, a promuovere l’azione al Tasso è stato un piccolo gruppo di aficionados. Dei diritti della maggioranza a loro, democraticamente, non importa, e nemmeno ai loro genitori.
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