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Home » Educazione » SCUOLA/ Ricominciare dal tema: la supplente Margherita contro le teorie di Godot

  • Educazione

SCUOLA/ Ricominciare dal tema: la supplente Margherita contro le teorie di Godot

Corrado Bagnoli
Pubblicato 7 Marzo 2025
(Ansa)

(Ansa)

Margherita insegna in una scuola professionale e fa una supplenza quantomai incerta. E ha deciso di fare una rivoluzione: assegnare un tema

Margherita tiene duro. Entra in classe ogni mattina nell’istituto professionale in cui ha trovato una supplenza. Mica annuale. Si potrebbe dire una supplenza “dell’assurdo”. Come il teatro: una supplenza “Aspettando Godot”. Aspettando cioè che la professoressa titolare della cattedra torni. Se torna. Perché pare che non sia il primo anno che succede così: di prolungamento in prolungamento, di certificato in certificato, come ben sappiamo da Beckett, Godot non arriva mai.


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E così dopo i concorsi vinti, l’abilitazione, il ruolo, il tirocinio e tutta la liturgia continuamente reinventata dai funzionari scolastici, Margherita è lì. Tutte le mattine. Per rispondere all’unica domanda seria che ci si può fare a scuola, studenti e professori: che ci facciamo qui?

Lo so. Non manca giorno in cui ministri, sottosegretari, educatori, pedagoghi, psicologi e compagni non inviino i loro suggerimenti. Ma a Margherita non sembra proprio che siano risposte vere. Anzi, non sembra nemmeno che siano risposte. L’altro giorno al telefono mi ha detto che c’è molto fumo, in giro nella scuola. E l’arrosto non si vede. La sua classe le vuole già un po’ di bene, mi ha detto. “Anche se lei insegna”, gli ha detto il suo alunno Kevin, dal fondo della classe. Che dovrebbe fare?


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Il suo collega di sostegno, onnipresente, onniparlante, l’ha rimproverata perché ha fatto scrivere un tema in classe. “Un tema? Ma non sono in grado” – diceva il collega. Che intanto però comunicava mestamente che persino quelli della quinta, un giorno prima, avevano lasciato in bianco il foglio della simulazione della maturità. “Allora i temi cominciamo a farli o no?” gli ha chiesto Margherita.

Margherita insegna, come sa bene Kevin. Che ci fa lì, altrimenti? Così da un paio di mesi ha svolto una serie di letture, ha chiesto che ci si facessero delle riflessioni sopra. Ha introdotto un lavoro di scrittura in modo che nessuno, nemmeno Kevin, potesse trovarsi davanti al foglio bianco domandandosi che cosa ci potesse fare. Ha svolto discussioni in classe, preparato slide, invitato un suo amico professore a fare una testimonianza sul tema.


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Insomma, ha tirato fuori tutto l’armamentario metodologico costruito in anni di corsi e lezioni: flipped classroom, role playing, cooperative learning, peer teaching e peer tutoring, mentoring. Che poi sono solo inglesismi per nominare quello che i buoni maestri hanno sempre fatto, sapendo che cosa volevano davvero dai loro alunni.

Basta, si è detta Margherita. Basta con i dibattiti su cosa sia più importante tra la conoscenza o la competenza. Basta con indicazioni che ora virano sulla metodologia, ora invece sui contenuti. Basta guerra tra sapere e competenze. Basta teorie su come costruire ambienti sereni in cui sarà possibile apprendere meglio. Basta. Si ricorda del suo vecchio professore che recitava sempre i quattro verbi con cui si doveva avere a che fare se si voleva parlare di studio: apprendere, comprendere, riprendere, intraprendere. Ecco, questo devono fare i suoi alunni. Facendo il lavoro di preparazione e scrivendo poi il tema.

Il collega di sostegno ha visto Margherita dettare il titolo e consegnare i materiali utili per lo svolgimento, compreso un brano della Divina Commedia che gli alunni dovevano parafrasare. È diventato bianco in faccia, non voleva crederci. “Ma non ci pensi all’ansia che gli metti a questi poveri ragazzi? E lo sai anche tu: evitare l’ansia oggi è il vero, unico obiettivo del percorso formativo”, ricorda il prof di sostegno a Margherita.

Ma che ci fa a scuola Margherita ormai lo sa: non si può certo ridurre in una parola, in uno slogan. Non si può incasellare in una strategia, in una metodologia. E sa anche che cosa ci stanno a fare i suoi ragazzi.

Non può negare a sé stessa la possibilità di insegnare, non può negare loro la possibilità di imparare. La vie est ailleurs recita una frase di Arthur Rimbaud, che è anche il titolo di uno dei romanzi più intensi, Život je jinde, di Milan Kundera. La vita è altrove: André Breton la cita nella conclusione del suo Manifesto del Surrealismo e nel maggio del 1968 gli studenti parigini l’adottarono come slogan e la scrissero sui muri della Sorbonne, come dice lo stesso Kundera nella prefazione al suo romanzo.

Ecco: se la vita è altrove, che ne è della vita di tutti i giorni? Se la scuola è altrove, che ci fanno i ragazzi a scuola? Margherita ha guardato i suoi alunni cimentarsi con il tema. Il prof di sostegno se ne stava lì stupito: persino Kevin nell’ultimo banco ha cominciato a scrivere, a mettere in pratica quelle quattro conoscenze e competenze che in due mesi di lavoro era riuscito a mettersi in tasca.

Perché dovremmo far credere a tutti i Kevin che stanno all’ultimo banco che quello che conta è fare poca fatica, tanto poi nessuno ti chiede niente? Tanto poi nessuno si sogna di bocciare a scuola? Perché dovremmo far credere loro che la vita – e la scuola – sono altrove?

Mi viene invece in mente una frase attribuita al campione dei pesi massimi di pugilato Mike Tyson: “fuori dal ring tutto è così noioso!”. Ecco: state dentro il ring, state qui, in una scuola in cui anche la vita può ricominciare ad avere un nome diverso. Margherita ha insegnato ai suoi alunni che bisogna mettere le cose sotto la luce, che bisogna ascoltarne la voce, coglierne l’intimità segreta.

Sembra quasi che abbia ascoltato le parole del poeta Sebastiano Aglieco che, in una sua recentissima plaquette dal titolo Altari di riposo fa dire così all’alunno davanti al maestro: “Per questo io ora chiedo a te, maestro/ d’inventare parole potenti che cambino il mondo/ nel battesimo di una luce nuova”.

Il maestro, nella sua umiltà, gli andrà sempre incontro, pur riconoscendo che è “solo un poeta disperato e cieco/ un misero maestro buono che non può salvare nessuno”. Certo i maestri non possono salvare nessuno. Ma se a scuola ci fossero più maestri e professori come Margherita – gente che sa quello che insegna, tanto per cominciare, e non rinuncia alla possibilità di farlo – forse la scuola non annegherebbe nell’autocommiserazione e nella noia di chiacchiere e teorie che lasciano che la vita sia altrove. Che la scuola stessa sia altrove.

Margherita, giovane e apparentemente fragile, si è messa sul ring. E ha sfidato i suoi ragazzi a salirci con lei. Kevin nel tema ha preso 5. Ed era felice. Sotto il voto, alla fine del commento che lo motivava, Margherita ha scritto questa frase di Mohammad Alì, alias Cassius Clay, il più grande campione di pugilato di tutti i tempi: “Dentro un ring o fuori, non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra”.

La classe ha voluto vedere su youtube tutto quello che c’era su Alì. Poi il film con Will Smith. Hanno fatto riassunti. Kevin ha voluto leggere un libro sul pugilato. Il prof di sostegno, entrando in classe, la mattina “vola leggero come una farfalla”, mentre Kevin “lo punzecchia come un’ape”. Potenza della scuola. Speriamo che Godot non arrivi neanche quest’anno.

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