Nella prima parte avevamo accennato ad una seconda questione: cosa recuperare della didattica a distanza e per fare cosa. Le esperienze in questo campo sono state molto dissimili e quindi le conclusioni possibili divergono anche in misura sensibile. Ma, volendo limitarsi solo a pochi aspetti, che – almeno a chi scrive – appaiono una sorta di denominatore comune, vorrei ricordare questi:
1. l’azione di recupero prima ipotizzata rende inevitabile l’individuazione di una sorta di sufficienza minima – verrebbe voglia di chiamarla una sufficienza di cittadinanza – tale da riportare dentro il percorso scolastico il maggior numero possibile di studenti, senza abdicare del tutto alla decenza. Ma una tale scelta sacrifica inevitabilmente coloro che – per fortuna (cioè circostanze familiari) o per virtù, per usare l’antitesi machiavelliana – si collocano al di sopra di quel livello e potrebbero fare anche molto di più. Uno spreco delle intelligenze non può essere un danno collaterale accettabile per la scuola di un paese civile: quand’anche interessasse solo una relativa minoranza di soggetti. Al tempo stesso, non è realistico pensare che i docenti – già impegnati a fondo per recuperare i guasti diffusi – trovino il tempo per coltivare in classe una didattica differenziata per i migliori.
Questo è un campo in cui la didattica a distanza potrebbe venire utile. Lo stesso insegnante – o anche un insegnante di potenziamento comune a più classi parallele – potrebbe coinvolgere gli studenti più dotati in attività di approfondimento da svolgere a distanza, mediante ricerche, tesine, dibattiti guidati on line o altri strumenti. Quella didattica personalizzata, di cui sempre si favoleggia, ma che per ottime ragioni non si riesce a realizzare in classe, potrebbe trovare il suo luogo ed il suo tempo nella didattica on line. Anche qui con sano realismo: non si può pensare di tenere impegnati i ragazzi, anche i più bravi, per tutto il pomeriggio e per tutte le materie con attività aggiuntive. Ancora una volta, la programmazione collegiale dovrebbe individuare chi coinvolgere ed in quali materie o ambiti di ricerca, assecondando per quanto possibile gli interessi e le potenzialità dei singoli. Magari dando spazio, per una volta, ad un sistema di opzioni individuali da scegliere su una rosa di proposte. E, naturalmente, offrendo agli interessati una forma di riconoscimento pubblico, sotto forma di voti o di altro: anche se, per i destinatari ideali di una tale forma di intervento, il fine coincide spesso con i mezzi. L’essere coinvolti, stimolati, l’avere la possibilità di andare oltre, di scegliere e di sfidare i propri limiti è spesso una ricompensa sufficiente per chi ha quella marcia in più da spendere. E sarebbe un servizio al paese anche quello di far crescere le eccellenze, che sono importanti. Perché, se è vero che salvare quanti più deboli possibili costituisce un indice di civiltà, promuovere le intelligenze brillanti è un investimento sul futuro e fornisce in prospettiva alla comunità le risorse necessarie per sostenere gli altri.
2. Un secondo aspetto riguarda l’introduzione – magari sperimentale in un primo tempo – di nuove modalità didattiche per tutti. Molta della noia e della demotivazione che affliggono tanti dei nostri adolescenti dipende dal ripetersi sempre uguale di una routine: il professore spiega (quando non legge il libro), assegna i compiti a casa (che richiedono un’applicazione, quanto più pedissequa possibile, della spiegazione) e poi interroga in classe, premiando – implicitamente o esplicitamente – la conformità della risposta rispetto alla formulazione canonica. Il premio riservato alla risposta giusta uccide la ricerca della risposta personale e quindi l’interesse a cercarla. La didattica a distanza permetterebbe di attivare una modalità diversa: certo non per tutti gli argomenti, ma almeno per alcuni. Il docente in classe introdurrebbe l’argomento, evidenziandone gli aspetti problematici ed i punti oscuri, ma senza fornire direttamente le risposte giuste. Indicherebbe agli studenti le fonti su cui documentarsi e poi animerebbe dei gruppi di discussione online di cinque o sei persone, chiamate a fornire (e, soprattutto, argomentare) le risposte che hanno elaborato. Ovviamente, il docente dovrebbe rettificare gli errori sostanziali, spiegando il perché: ma dovrebbe essere aperto ad accogliere risposte divergenti, purché accettabili, valorizzando il metodo e non solo il contenuto della risposta. E, altrettanto ovviamente, dovrebbe essere in grado di scoraggiare i plagi.
Non si vuol certo dire che con questo metodo si possano svolgere tutti gli argomenti, né che si debbano inventare soluzioni creative per la legge di Ohm o il teorema di Pitagora. Ma, anche nelle materie scientifiche, non mancano certo gli argomenti in cui alla risposta giusta – o ad una che sia nel range di quelle accettabili – si può giungere per vie diverse. Ma, soprattutto, è il modello che conta: se, in un quadrimestre, anche solo due argomenti fossero sviluppati in questo modo, si otterrebbero due risultati, entrambi importanti. Da un lato, si risparmierebbe parte del tempo speso in noiosissime sessioni di interrogazioni orali, durante le quali tutti quelli non coinvolti si annoiano e pensano ad altro. E quel tempo potrebbe esser utilizzato per attività più stimolanti. Dall’altro, si fornirebbe una motivazione, sostenuta dalla curiosità e dalla provocazione intellettuale, che – in mano ad un docente consapevole – costituiscono le leve più forti per svegliare le intelligenze.
Si tratta, com’è ovvio, di idee, in parte provocatorie. Ma, d’altra parte, se si parte dall’assunto che niente può essere mutato di quello che si ripete da decenni, perché interrogarsi sui risultati di apprendimento deludenti, sul disinteresse degli alunni, sulla frustrazione professionale degli insegnanti? Le grandi crisi comportano inevitabilmente dei costi, ma offrono anche una finestra di opportunità per cercare soluzioni nuove. Non è detto che debbano essere queste: ma, nel momento in cui si cerca faticosamente di tornare alla normalità, l’errore più grande che si potrebbe commettere è quello di concepirla come una sorta di Restaurazione. Restaurazione di un ancien régime, di cui fra l’altro tutti si dicevano da tempo insoddisfatti.
(2 – fine)
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