Ieri il tribunale di Palermo ha reso note le motivazioni della sentenza di assoluzione di Salvini sul caso Open Arms. Alcuni problemi sono ancora intatti
Tanto rumore per nulla. O forse non proprio per nulla, ma in un nulla di fatto la vicenda si è adesso conclusa. Nessun obbligo di fornire un “porto sicuro”. L’allora ministro degli Interni Matteo Salvini non commise alcune reato con il ritardato sbarco dei migranti dalla nave Open Arms perché dai trattati internazionali, sulle basi degli eventi legati a quella vicenda, non discendeva nessun obbligo in capo all’Italia nel fornire un POS (Place of safety), porto di approdo sicuro.
L’obbligo, invece, era in capo alla Spagna per svariati motivi. La nave batteva bandiera spagnola, i migranti erano stati raccolti in acque SAR (zona di ricerca e soccorso in mare) non italiane e per questo proprio la centrale operativa spagnola, prima ad assumere un coordinamento, aveva indicato in prima istanza la Tunisia come luogo di approdo e in seconda battuta Malta.
Terza circostanza: quando Malta rifiutò il porto lo fece ribadendo la responsabilità spagnola e solo dopo la Open Arms decise di far rotta su un porto italiano perché più vicino.
Infine, seppur dopo tempo in mare, la Spagna aveva indicato il porto di Algeciras come approdo e il rifiuto della Open Arms perché “troppo lontano” anche per il secondo porto indicato, quello di Maiorca, non era caduto nel vuoto. Al contrario, la Spagna era pronta ad inviare una nave militare per il trasbordo, la Audaz.
Questa sequenza di fatti dice chiaramente che non c’erano obblighi in capo all’Italia, da ciò la decadenza di qualsiasi imputazione per l’allora ministro degli Interni ed oggi ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e vicepremier Matteo Salvini.
È la sostanza di quel che scrivono i magistrati di Palermo nelle motivazioni relative alla sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di Salvini a dicembre dello scorso anno. Il leader della Lega, nonostante i sei anni chiesti dalla procura palermitana, era stato assolto perché “il fatto non sussiste”; ora i magistrati ci spiegano perché le imputazioni erano insussistenti.
Decadono, così, sia l’accusa di rifiuto d’atti d’ufficio (non c’erano obblighi), sia quella di sequestro di persona (non solo l’assenza di obblighi ma anche una nave che è per accordi internazionali territorio straniero).
Ma imboccando questa strada, che fa leva su aspetti puramente tecnici del diritto internazionale e su eventi “singoli”, ovvero legati al caso specifico, difficilmente replicabili in altri casi per sequenza ravvicinata di fatti, i giudici di Palermo si tirano fuori anche dai rischi di una sentenza che “faccia giurisprudenza” in un senso o nell’altro.
“Questa convinzione (l’assenza di obbligo ad indicare un porto sicuro da parte dell’Italia, ndr) … esime il collegio – scrivono i giudici – dall’affrontare analiticamente diverse tematiche prospettate ed animatamente dibattute dalle parti quali la circostanza che la nave Open Arms avesse potuto fungere da POS, ovvero al fatto che il primo intervento non avesse in realtà riguardato un’imbarcazione in difficoltà o ancora al fatto che i tempi trascorsi fossero legittimati dall’esigenza di provvedere prima alla distribuzione dei migranti fra gli Stati europei”.
Tutti temi per i quali la destra italiana avrebbe preferito un pronunciamento favorevole a Salvini, per usare il principio in occasione dei prossimi sbarchi. Per lo stesso motivo la sinistra avrebbe voluto un pronunciamento che rappresentasse almeno l’indicazione di un principio di massima sul soccorso in mare e sulla gestione successiva.
Nessuno di questi temi, invece, ha avuto risposta. Giuridicamente non è necessario e i magistrati di Palermo hanno preferito evitare di dare adito ad un’interpretazione politica che fosse vicina all’una o all’altra parte. Argomenti che avrebbero inciso su temi ancora estremamente divisivi in un Paese, come l’Italia, che non ha una posizione sociale univoca sulla gestione delle politiche migratorie.
La sentenza, naturalmente, potrà anche essere appellata, ma l’aver “blindato” le motivazioni sul piano prettamente tecnico-giuridico la rende più difficile da ribaltare; oltre a rispettare il principio di terzietà del magistrato giudicante che deve guidare sempre l’azione di giudizio.
(L’autore è direttore di BlogSicilia.it)
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