Una donna, dopo aver fatto un’interruzione terapeutica di gravidanza, ha scoperto che il feto del figlio nato morto era stato seppellito presso il cimitero Flaminio di Roma, con tanto di croce e di nome della madre stessa. «Inizio scrivendo che questa non è la mia tomba, ma è quella di mio figlio», così ha scritto la stessa donna a corredo di una foto, in un post pubblicato su Facebook, parole che hanno creato non poche polemiche visto il tam tam mediatico che si è verificato in rete. Nello scatto in questione si vede una croce bianca con un nome scritto sopra, assieme a molte altre croci simili. Una vicenda che ha scosso la giovane madre di Roma vittima di aborto, che aveva firmato un modulo, come si legge sul Corriere della Sera, in cui rinunciava alla sepoltura del feto. Un’associazione di volontariato aveva comunque provveduto a seppellirlo in un’area apposita del cimitero romano di cui sopra. «Mi dissero al telefono – ha proseguito la madre – “stia tranquilla anche se lei non ha firmato per sepoltura, il feto verrà comunque seppellito per beneficenza: avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome”».
“SEPPELLITO FETO DI MIO FIGLIO COL NOME”. IN ITALIA 50 CIMITERI PER I FETI
E ancora: «A questo punto mi sembrano ovvie le riflessioni su quanto sia tutto scandalosamente assurdo, su quanto la mia privacy sia stata violata, su quanto affermare che “ci pensa il comune per beneficenza” abbia in qualche modo voluto comunicare “l’hai abbandonato e ci pensiamo noi”», che poi ha aggiunto e concluso: «Il campo in questione del cimitero Flaminio di Roma è pieno di croci con nomi e cognomi femminili». Come ricorda Il Corriere della Sera, il seppellimento del feto (oltre la 28esima settimana) o dei “prodotti del concepimento” (fino alla 28esima settimana), è un’operazione legale ma solo apparentemente, in quanto “Secondo il regolamento della polizia mortuaria – si legge sul quotidiano di via Solferino – i parenti hanno 24 ore di tempo per fare richiesta”. In Italia vi sono diversi cimiteri di questo tipo autorizzati dai comuni e gestiti da associazioni. «Ne ho trovati circa 50, ma sono sicuramente molti di più», ha raccontato Jennifer Guerra, giornalista e autrice del libro “Il corpo elettrico”, che ha provato a censirli.