Un manager su due è favorevole alla settimana lavorativa corta anche in Italia. Restano però dei dubbi come l'orario e la retribuzione
Settimana lavorativa corta sì o no? Si accende il dibattito nel mondo del lavoro anche in Italia, dopo l’esperimento dell’Inghilterra e di tanti altri Paesi in Europa. La forma di flessibilità oraria sul posto di lavoro piace a tanti dipendenti: un terzo vorrebbe una settimana lavorativa di quattro giorni, come riportato da Randstad workmonitor. Come scrive Il Sole 24 Ore, tra i manager delle risorse umane la percentuale dei favorevoli è del 53%, dunque poco più di uno su due. Una survey curata dal Centro Ricerche dell’Aidp, guidato dal professor Umberto Frigelli, ha coinvolto oltre mille manager.
Quali sono le ragioni tra chi è favorevole e chi no? Nel primo gruppo troviamo oltre 500 manager, che sono appunto pro: il 79% crede che la settimana corta potrebbe migliorare la conciliazione vita-lavoro, il 49% che aumenta il benessere psico-fisico dei dipendenti e il 27% che aumenta la motivazione al lavoro dei dipendenti. Chi invece è dubbioso pensa che ci sia necessità definire una misura della produttività con linee guida definite dalla contrattazione nazionale (per il 41%). A preoccuparsi della sostenibilità economica c’è il 34% dei manager. Ci sono però anche manager nettamente contrari che imputano le problematiche nella settimana corta nella non compatibilità con la situazione economico-produttiva dell’impresa (50%), la difficile implementazione a livello organizzativo (37%) e la necessità di lavoro giornaliero di 9/10 ore nel 28% dei casi.
Settimana lavorativa corta, i nodi da sciogliere
La settimana lavorativa corta, comunque, piace a più della metà dei manager ma restano dei nodi da sciogliere come l’orario e le retribuzioni. Quel 20% di orario in meno come troverà compensazione in termini di rendimento? La flessibilità, sarebbe solo organizzativa. I sindacati propongono di sfruttare la riduzione oraria per fare formazione in alcuni settori, tra cui l’automotive, risolvendo così le ricadute occupazionali.
Come scrive ancora il Sole 24 ore, per il giuslavorista Luca Failla, in Italia servirebbeun cambio di paradigma sul tema del rendimento. “L’introduzione della settimana corta a parità di salario in Italia sarà possibile solo a patto di fissare e rispettare il cosiddetto rendimento atteso dalle aziende rispetto ai propri dipendenti”. Dunque si dovrebbe “cambiare paradigma del contratto di lavoro subordinato sino ad oggi praticato in cui le aziende, con il contratto acquistano e pagano la prestazione del dipendente per una certa quantità di tempo ma non il risultato di quell’attività”.