SÌ A RECOVERY FUND/ Soldi in cambio di riforme, il treno che l’Italia non può perdere

- Filippo Ravoni

Dall'Europa possono arrivare risorse importanti per l'Italia, chiamata però a realizzare un importante e necessario piano di riforme

vonderleyen conte 1 lapresse1280 640x300 Ursula von der Leyen e Giuseppe Conte (LaPresse)

La Commissione europea batte un colpo, o meglio il colpo. La proposta avanzata sul Recovery Fund è stata una sorpresa sotto tutti gli aspetti. Ha ribaltato il tavolo di gioco e dato nuova speranza a un continente sempre più competitivo e sempre meno cooperativo. Una soluzione che ha messo un freno a una tensione comunitaria che facilmente, continuando con una visione antitetica della concezione stessa di comunità, tra i Paesi del nord e quelli del sud, si sarebbe trasformata in un’implosione.

In base alla proposta della Commissione, il Recovery Fund potrà contare su una potenza di fuoco pari a 750 miliardi di euro, da distribuire tra i Paesi membri. Un ammontare che si aggiungerà ai fondi della prossima programmazione del bilancio comunitario 2021-2027 pari a circa 1.100 miliardi di euro.

Una vera e propria “potenza di fuoco” che non ha precedenti nella storia europea. La vera novità però si ha nell’approvvigionamento di tale liquidità, tramite un’emissione comune di bond. Non a caso si chiamerà “Next generation EU“. Di fatto sarà un’emissione dei famosi eurobond, ma che non riguardano il debito pregresso, bensì quello futuro. Un debito comune che necessariamente andrà verso un’Europa più comune. Tale fatto potrebbe rappresentare il primo passo per un ripensamento del funzionamento comunitario, più cooperativo ma soprattutto più interpretativo. Implicitamente si stanno mettendo le basi per una nuova politica fiscale comunitaria.

Allo stesso tempo in ogni caso è giusto ricordare che tale misura è una proposta, e in quanto tale dovrà essere negoziata e licenziata dal Consiglio europeo di luglio. Un passaggio non indifferente che necessariamente prenderà tempo, ma soprattutto probabilmente muterà e troverà una forte opposizione dei Paesi del nord, i cosiddetti “frugali”.

Un altro fattore importante da capire è il processo a valle del flusso finanziario, cioè come verranno impiegate tali risorse. Ed è qui che entra in gioco la pericolosità del nostro Paese, che necessariamente dovrà reagire nei giusti tempi per non trasformare questa opportunità storica in una “poison pill”, una pillola avvelenata. All’Italia, a causa dei gravi danni causati dal Covid-19, dovrebbero andare oltre 81 miliardi di contributi a fondo perduto (“Grants”) e circa 91 di prestiti (“Loans”): 172 miliardi di euro che necessariamente dovranno essere sbloccati, almeno in parte, in cambio di una risposta vera e operativa del nostro Paese.

Ad esempio, per ottenere gli 81 miliardi a fondo perduto, il nostro Paese dovrà dimostrare di saper realizzare davvero quelle riforme che servono da anni. Bruxelles sta chiedendo una rivoluzione interna di portata ciclopica. Smantellare la burocrazia non dev’essere più soltanto uno slogan. In questi giorni abbiamo visto le grandi limitazioni del nostro sistema. In nessun altro Paese al mondo sono stati necessari 15 Dpcm e 13 decreti legge. Oppure, i 55 miliardi del decreto Rilancio, senza entrare nel merito della manovra, o meglio della parola, che di rilancio ha ben poco, sono numeri che restano sulla carta visto che sono necessari 98 provvedimenti amministrativi per la loro erogazione. L’Europa ci sta dicendo che dobbiamo azzerare questo sistema, e necessariamente dovrà essere fatto.

Il piatto è troppo ghiotto, e l’opportunità è una sola, far passare questo treno vorrebbe dire condannare il nostro Paese alla morte certa. Si dovrà essere capaci di saper fare in pochi anni quello che non si è riusciti a fare in 50. Ma ciò non vuol dire che non sia impossibile. È importante sottolineare infatti che le risorse che arriveranno, a condizione delle cosiddette riforme, avranno un altro meccanismo di spesa. Al contrario delle programmazioni passate, le risorse non saranno distribuite sulle Regioni, ma direttamente allo Stato centrale. Questo permetterà di non andare incontro alle grandi difficoltà e inefficienze dei cosiddetti fondi strutturali, dovute in parte da una serie di ” lacci e lacciuoli” che rendevano impossibile l’utilizzo di tali risorse.

Da tempo si sosteneva che bisognava avere un altro approccio sul processo di stanziamento dei fondi europei indiretti. La dimostrazione si è avuta appunto in questo momento, scegliendo una gestione unica e simmetrica delle risorse.

A oggi, in ogni caso, è difficile arrivare a una conclusione che ci permetta di dire che questa sarà la strada per la ripresa. La Commissione ha avanzato una proposta, chissà come uscirà quest’ultima dal negoziato del Consiglio europeo. Non sarà una strada facile e soprattutto definitiva. C’è stato però un cambio di paradigma, un cambio di passo fisiologico che doveva necessariamente essere fatto in passato, ma che è stato fatto adesso. Non tutti le crisi vengono per nuocere, come ci ricorda Albert Einstein nel meraviglioso capolavoro de “Il mondo come io lo vedo” scritto nel 1931, durante la Grande crisi innescata pochi anni prima negli Stati Uniti nel 1929: “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato”.







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