SIMENON/ “Le sorelle Lacroix”, gruppo di famiglia (borghese) in un interno avvelenato

- Silvia Stucchi

Nel suo romanzo del 1938 "Le sorelle Lacroix", Simenon smaschera l'ipocrisia, a volte irrespirabile, della famiglia borghese

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Ah, che bella la famiglia! Come ci si rilassa, fra parenti! Che consolazione condividere le ore, i pasti, le afflizioni, le gioie e i dispiaceri con i propri cari! A smascherare l’ipocrisia di tanta retorica, ecco Le sorelle Lacroix di Georges Simenon (Adelphi, 2022), che rivela, se mai ce ne fosse bisogno, come la famiglia, e soprattutto la famiglia borghese, sia, spesso, un vero covo di serpi, dove rapporti malsani, odi, rivalità, ipocrisie e silenzi omertosi la fanno da padroni.

Il romanzo porta in esergo la frase, emblematica, secondo la quale “ogni famiglia ha uno scheletro nell’armadio”: e quello della famiglia Lacroix, in particolare, è oltremodo ingombrante. Il racconto si apre, infatti con la giovane Geneviève Vernes, una diciassettenne che, in chiesa, recita il rosario con insolito fervore. A casa la aspetta una situazione di pace armata permanente: la madre della ragazza, Mathilde, e sua sorella Leopoldine sono figlie di un rispettabilissimo notaio di Bayeux, e sono ormai adulte, sposate, con figli: ma, benché Mathilde porti legalmente il cognome Vernes e Leopoldine sia sposata con un tisico che da anni vive in Svizzera, le due sono da sempre note con il nome da nubili, quello del padre notaio, Lacroix, che era stato un’istituzione cittadina.

In casa la tensione si taglia col coltello: Jacques, il fratello di Geneviève, praticante presso il notaio locale che è subentrato al nonno materno, sta progettando di fuggire con la fragile Blanche, figlia del suo principale, e le due sorelle vivono in rapporti a dir poco problematici; né, del resto, meno idilliaci sono i rapporti di Mathilde con il marito Emmanuel, un restauratore che passa le sue giornate sigillato nel suo studio, senza mai dare conto ai familiari di ciò su cui sta lavorando e di come passa il tempo.

Riti immutabili scandiscono il tempo nella casa che fu del vecchio e rispettabile notaio Lacroix: ma a un certo punto, durante la cena, che avviene sempre allo stesso modo, implacabilmente, come se si seguisse un cerimoniale da cui non è consentito derogare, Geneviève si sente male; cade a terra, si mette a letto, e si persuade che non si rialzerà mai più, che non camminerà più, e che, anzi, morirà presto. Il fratello, data la situazione, rinuncia al proposito di fuggire con Blanche. Accadono cose strane, però: Lepoldine, preoccupata da una certa piega presa dagli eventi domestici, e dopo aver raccolto un campione della zuppa servita per cena, va a fare alcune ricerche alla biblioteca municipale. Oggetto: l’anidride arseniosa, un veleno.

Inoltre la figlia di Poldine, Sophie, avida lettrice del feuilleton pubblicato sulle pagine del quotidiano locale, non ritrova più un numero del giornale: strano, in una casa così ordinata, in cui ogni cosa ha il suo posto, da sempre, e in cui le abitudini diventano rituali intangibili. A meno che quel numero del quotidiano non sia stato nascosto da qualcuno, qualcuno che non voleva che in casa si leggesse una certa notizia, che l’aveva colpito, turbato e, in fondo, anche ispirato …

In fondo, la chiave per comprendere il piccolo mistero è proprio in quel foglio di cronaca, che raccoglie la triste notizia di un giovane uomo che ha sterminato la famiglia, prima di uccidersi. E che cosa ha a che vedere un simile dramma della disperazione, e della miseria, con la vita ordinatamente borghese che si conduce nella casa delle sorelle Lacroix? La condizione comune è il non poterne più, l’averne fin sopra i capelli, il volerla fare finita, con sé stessi e con tutti.

Ma ecco che, dopo quel maldestro tentativo di avvelenamento, arriva la rivelazione-bomba: in un teso colloquio fra Emmanuel Vernes e la moglie Mathilde scopriamo che la donna non gli ha mai perdonato l’adulterio con la sorella Poldine, e che, anzi, la cosiddetta nipote, Sophie, in realtà è anch’ella figlia di Emmanuel, e quelli che ritiene i suoi cugini sono, in realtà, i suoi fratellastri: e il marito tisico di Poldine, il mite corista presto spedito in qualche salubre località svizzera, altro non era stato che un comodo paravento. Eppure, nonostante questo terribile retroscena, le due sorelle rimangono inesplicabilmente e implacabilmente legate, in un rapporto che esula dalla manichea divisione fra amore e odio, anche dopo la morte di Emmanuel.

Le sorelle Lacroix, romanzo bello e terribile, ci mostra un gruppo di famiglia in un interno avvelenato, letteralmente; e dimostra anche che, come in altri romanzi simenoniani, la famiglia è una sorta di piccolo laboratorio darwiniano. Altro che nucleo caldo e accogliente: solo gli individui più adatti resistono.

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