Sabato 15 giugno a Bratislava ha avuto luogo l’inaugurazione presidenziale di Zuzana Čaputová, quinto presidente della Repubblica Slovacca (dopo Michal Kováč, Rudolf Schuster, Ivan Gašparovič e Andrej Kiska). L’elezione di Čaputová rappresenta un punto di svolta nella vita politica di questo piccolo Paese, non solo per il fatto di essere la prima donna eletta capo dello Stato.
Il predecessore Kiska non aveva sicuramente lavorato male. Decidendo di non candidarsi per un secondo mandato, le incognite alla vigilia delle elezioni presidenziali erano tali da far temere che uno dei candidati populisti e anti-europeisti potesse effettivamente diventare presidente. La candidatura di Zuzana Čaputová era stata inizialmente presa sottogamba dalla maggior parte degli avversari politici, in un panorama estremamente polarizzato anche tra le fila dei conservatori. Nonostante i due candidati populisti (Štefan Harabin, ex giudice e apparatčik del vecchio regime comunista, e Marian Kotleba, leader del partito neofascista slovacco) abbiano raccolto insieme quasi il 25% dei consensi, nessuno dei due è passato al secondo turno. La sorpresa Čaputová ha poi avuto la meglio su Maroš Šefčovič, candidato spinto dal partito di governo Smer-Socialdemocrazia, in un ballottaggio senza particolari sorprese. Čaputová ha poi anche conquistato l’opinione pubblica mondiale con la sua immagine pulita e rassicurante.
La giornata inaugurale è stata punteggiata da vari gesti tanto piccoli quanto significativi e soprattutto da un discorso chiaro e forte di Čaputová sulla direzione che dovrebbe prendere il Paese e sul suo ruolo di presidente.
Sottolineando il percorso storico difficile del popolo slovacco fin dai tempi dei grandi imperi (“in cui si decideva per noi, senza di noi”) attraverso poi le due grandi guerre e i regimi totalitari che hanno messo il Paese in ginocchio, Zuzana Čaputová ha voluto mettere l’accento su come i più grandi cambiamenti siano sempre avvenuti in maniera non violenta e abbiano sempre spinto il popolo slovacco in avanti grazie alla propria forza e determinazione. Al punto di potersi unire alla Ue insieme a quei Paesi che erano visti come “avanti di diversi anni” nel percorso di sviluppo post-comunista (riferendosi esplicitamente agli altri paesi del V4: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria). Punti fermi dell’agenda politica di Čaputová sono l’europeismo convinto e la fedeltà alla Nato, visti come irrinunciabili per lo sviluppo economico e sociale e per il mantenimento della sicurezza interna e globale.
Čaputová ha poi rilanciato il messaggio semplice e diretto che aveva mandato durante tutta la campagna elettorale: “Voglio essere la presidente di tutti, la voce di quelli che non riusciamo ad ascoltare. Non per gridare con loro, ma per aiutarli a risolvere i propri problemi”. Ha affermato che il suo mandato sarà indipendente da qualsiasi influenza indebita e libero da qualsiasi coercizione e ha poi ribadito come sarà fondamentale superare le vecchie divisioni e polarizzazioni tra conservatori e liberali, vecchio e nuovo, tra chi fa parte della maggioranza e chi appartiene a una minoranza. Quelle divisioni che i politici stessi hanno contribuito a inasprire nel tempo. “Apparteniamo tutti alla famiglia umana – ha detto Čaputová – e basterebbe non dimenticare l’amore al prossimo che è alla base del rispetto delle differenze”. Nel concludere il discorso su una nota di ottimismo, affermando come sia possibile raggiungere grandi risultati, Čaputová ha voluto insistere nuovamente sul fatto che questo sia possibile solamente se realizzato “insieme” e ribadendo così la propria volontà di essere la “presidente di tutti gli slovacchi e tutte le slovacche”.
Dopo il discorso inaugurale nel palazzo della Filarmonica Slovacca a Bratislava, Čaputová ha salutato le Forze armate nella vicina piazza Hviezdoslav per poi recarsi a piedi alla Cattedrale di San Martino e assistere a una funzione religiosa ecumenica presieduta dal cardinal Stanislav Zvolensky, arcivescovo di Bratislava e capo della Conferenza episcopale slovacca, alla presenza di tutti i rappresentanti delle confessioni religiose (cristiane e non) del Paese.
In seguito, ha avuto luogo la cerimonia del passaggio di consegne da parte del presidente uscente Kiska al Palazzo presidenziale, dove Čaputová ha poi accolto a pranzo una delegazione di anziani ospiti di diverse strutture di assistenza del Paese, un gesto simbolico quanto forte a sottolineare la volontà concreta di abbattere le divisioni tra le vecchie e le nuove generazioni.
Nel tardo pomeriggio ha poi avuto luogo un altro gesto molto importante, l’incontro con una delegazione della Confederazione dei prigionieri politici (ne restano in vita pochi) davanti al monumento alla libertà eretto sulle sponde del fiume Morava, attraverso cui tanti dissidenti tentarono la fuga al di là della cortina di ferro (tra essi anche il beato Titus Zeman e Anton Srholec, ex presidente della Confederazione dei prigionieri politici, catturati insieme nell’aprile del 1951). Čaputová ha poi depositato una corona di fiori al vicino monumento ai caduti. La presidente ci ha tenuto a sottolineare l’importanza del sacrificio di chi fu perseguitato, discriminato e ucciso durante il difficile periodo comunista, anche in questo tracciando idealmente un ponte tra il passato e il presente.
Al termine della lunga giornata (conclusa con la cena di gala, di nuovo nel palazzo della Filarmonica Slovacca) filtravano euforia e ottimismo, tra la gente e sui media. Zuzana Čaputová sembra avere le carte in regola per guidare la Slovacchia sulla strada di un cambiamento che renda il Paese più moderno e meno polarizzato o ideologico. La sua trasparenza e semplicità saranno determinanti per mantenere un’immagine di affidabilità nei cinque anni del suo mandato. E la solidità delle sue convinzioni potrà dare alla Slovacchia un ruolo più centrale nella politica della Ue, come peraltro sta già succedendo con l’assegnazione a Bratislava dell’Autorità europea del lavoro.