L'Ue sembra molto preoccupata dell'export verso gli Usa, ma sembra non guardare mai al proprio mercato interno
Tutti a piangere per i dazi imposti all’Ue da quel cattivone di Trump (che peraltro non fa che applicare il suo programma elettorale) e che – a dispetto dei teleutenti italiani – è sempre più apprezzato dagli americani.
La “partita dazi” sta infatti portando e porterà un fiume di soldi al Governo Usa e come fanno i cittadini americani che contemporaneamente si vedono ridurre le tasse a non esserne contenti?
Al di là delle poche capacità colloquiali della von der Leyen – che sta in piedi sostanzialmente perché l’Europa non può permettersi proprio adesso una crisi di vertice (e per la quale quindi crisi e dazi sono una polizza sulla vita) – sarebbe anche ora che gli europei e gli italiani in particolare facessero un po’ di autocritica trasformando la “crisi dazi” in un’opportunità, per esempio sul piano interno.
Una comunità di 448 milioni di persone (oltre agli Stati associati a vario titolo) significa disporre di un mercato interno importante e che deve abituarsi al “Made in Europe”.
La Coldiretti, per esempio, oltre che aggiornarci in tempo reale sui danni all’agricoltura (se piove, tempesta, fa caldo o freddo oppure tira vento, prima di sera uscirà con suo un comunicato di aggiornamento sulle perdite causate dal meteo ai produttori) dovrebbe porsi come obiettivo, insieme al ministero competente, di vendere di più e in modo competitivo all’estero, prima di tutto sui mercati europei.
Invece nel Nord Europa la gran parte dei prodotti agricoli viene dal Marocco e dall’Egitto (oltre che dalla Spagna) e i prodotti di qualità costano troppo rispetto alla concorrenza, visto ad esempio che il prosciutto San Daniele la scorsa settimana era in vendita a Oslo (Norvegia) a 139 corone l’etto (12 euro!) ovvero il doppio rispetto al prosciutto spagnolo presentato nella stessa vetrina.
Se gli Stati Uniti rappresentano il 10% della nostra esportazione agricola e vitivinicola, come mai intanto sui mercati europei non c’è una maggiore presenza di “Made in Italy” a compensare la possibile futura crisi di quello americano? E magari valutiamo se sia così necessario importare mirtilli da Ecuador e Perù, cozze dal Cile, pomodori dall’Olanda e tanta frutta spagnola.
Lo stesso vale ancora di più a livello di aiuti europei. Ha senso finanziare la viticultura sudafricana (15 milioni di contributi Ue, come documentato sul Sussidiario il mese scorso) per ritrovarsi nuovi concorrenti interni e internazionali proprio in un settore così delicato? E come mai in un nostro qualsiasi supermercato le angurie raramente quest’anno sono scese sotto l’euro al chilo se poi si lasciano marcire nei campi come i pomodori o i meloni, carissimi sul banco del verduriere?
Se la catena di distribuzione dei prodotti italiani in Italia e all’estero non funziona la colpa non è di Trump, migliorarla sarebbe un dovere e un vantaggio per tutti, non solo per l’esportazione verso gli Usa.
Certo che è tutto collegato, dal prezzo dei trasporti alle infiltrazioni mafiose, ma alla fine troppe volte usciamo dal mercato semplicemente per colpa nostra. Non è forse il turismo una delle principali “industrie” italiane e che potremmo riequilibrare i dazi con più turisti americani? Eppure se un turista dalla Florida vuol venire in Nord Italia, dopo il Covid tuttora non è stato ripristinato nessun volo diretto e quindi deve passare da New York o da un altro scalo europeo, con Malpensa desolatamente sottoutilizzata.
Come europei continuiamo poi a farci del male e pieghiamo la testa all’importazione di energia americana a prezzi molto più alti che non dall’est europeo. Nessuno ci obbliga a sanzionare la Russia, ma se decidiamo di farlo per motivi ideologici e per protestare contro l’invasione in Ucraina almeno controlliamo le spese militari che aiutano Kiev e chiediamoci perché quei Paesi che fanno parte della Nato (ad esempio, la Norvegia) non debbano operare sconti di prezzo sui propri prodotti (gas) almeno agli alleati.
L’Europa in tre anni e mezzo di crisi energetica non è stata in grado (meglio, non ha voluto) stabilire un prezzo univoco per tutti per l’energia e così chi è energicamente più debole – ovvero noi – paga più degli altri e queste cose incidono ben di più dei dazi Usa. Se non diventiamo più efficienti al nostro interno come Italia e come Ue, serve poco prendersela con Trump che, da Presidente Usa, alla fine fa soltanto il suo mestiere.
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