La classifica dei potenti d’Europa (e non solo) per il 2026 stilata da Politico per alcuni versi sorprende, per altri no. C’è la Meloni, non il Papa
Immaginiamo che su un emendamento-chiave alla manovra (su una “manovra nella manovra” come il finanziamento annuale dell’intera sanità pubblica), il governo italiano riportasse alla Camera il seguente risultato: favorevoli 43% del plenum, contrari 41% (con 13 voti di scarto), astenuti 16%.
Immaginiamo che le opposizioni estreme (da un lato il primo partito del Paese) fossero rimaste compatte mentre la maggioranza che aveva appena dato la fiducia all’esecutivo si fosse dissolta. E che tutti i tutti i partiti moderati si fossero spaccati in tre (fra sì, no e astenuti) sia nel centrodestra che nel centrosinistra, sia nella ex maggioranza che nelle precedenti opposizioni.
Immaginiamo che un simile voto-brancaleone di minoranza aprisse la strada a una manovra finale ancora inadempiente verso i ripetuti solleciti della Ue a far rientrare il deficit pubblico del Paese almeno sotto il 5% (rispetto al parametro del 3%).
Immaginiamo che si allungasse sul Paese – nel pieno di una grave crisi geopolitica – lo spettro drammatico e umiliante dell’esercizio provvisorio, quando le principali agenzie internazionali di rating avessero già emesso sentenze di bocciatura per l’affidabilità finanziaria il Paese, con lo spread da mesi in tensione.
Immaginiamo che il premier all’esame parlamentare fosse il quarto in 15 mesi (tutti già battuti, lui stesso al secondo tentativo in tre mesi) dopo che il suo partito ha perso nettamente sia le elezioni parlamentari che quelle europee.

Bene, il massimo che si è potuto potuto leggere ieri sui quotidiani di Parigi – dove tutto è accaduto realmente, l’altra sera all’Assemblea nazionale francese – è stato: “Per il governo Lecornu una vittoria tattica ma forse una sconfitta strategica”.
Non sono mancati commenti perfino lusinghieri – non critici – al fatto che il premier abbia rinunciato a imporre per decreto una manovra più austera, pur potendo esercitare i poteri che la Francia semipresidenzialista tuttora garantisce al presidente Emmanuel Macron, nei fatti il premier vero.
Molto spazio continua a essere riservato Oltralpe, a media unificati, agli echi del documento in cui l’amministrazione Usa ha paventato per l’Europa il “declino irreversibile”, anzitutto a causa di leader “deboli”. E proprio ieri Donald Trump è stato posto al primo posto fra i 28 personaggi “più influenti d’Europa” incoronati a fine anno da Politico. Giusto martedì sera l’influente testata digitale transatlantica – tutt’altro che trumpiana – aveva raccolto direttamente dal presidente americano le ennesime bordate contro la “civiltà europea” in crisi.
Fra i 27 “Potenti” europei annunciati da Politico per il 2026 assieme a Trump non manca Macron, ma staccato in classifica e preceduto dalla sua eterna rivale francese Marine Le Pen. In una top-10 in cui si fa largo il presidente russo Vladimir Putin, si conferma la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Si affaccia naturalmente il premier britannico Keir Starmer ma molta visibilità ha anche – a dieci anni dal referendum Brexit – Nigel Farage, leader della destra estremista oltre Manica.
La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, c’è: accompagnata da Manfred Weber, leader dei popolari Ue. “Nominate” anche due vice di “Ursula”: la spagnola Teresa Ribera, mohicana socialista a Bruxelles, e la liberale estone Kaja Kallas, pasionaria anti-putiniana. Con loro il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Subito dopo “Re” Trump spicca comunque il volto roseo della premier socialdemocratica danese Mette Frederiksen, per quanto reduce da una sconfitta elettorale. In un ranking che ha pure qualche tratto di armata variopinta, spuntano il cancelliere tedesco Friedrich Merz ma anche il premier ungherese Victor Orbán.
Dalla Francia Politico ha scelto due figure a modo loro esotiche: l’economista Gabriel Zucman, profeta globale del movimento “tassare i ricchi”; e Rima Hassan, eurodeputata francese della sinistra radicale, segnalata in quanto attivista pro-Pal di punta in Europa. A suo modo “brancaleonico” anche l’inserimento finale del presidente della Fifa Gianni Infantino: nato in Svizzera, cittadino italiano ma ora anche libanese, alla vigilia della Coppa del Mondo.
Altri due italiani menzionati – ma a fondo classifica – sono l’ex presidente della Bce Mario Draghi e il Ceo di UniCredit Andrea Orcel.
Nessuna traccia di papa Leone XIV.
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