L’Italia ha una nuova legge elettorale già da qualche giorno: l’approvazione definitiva è passata sotto silenzio, ma è avvenuta. La riforma è semplice, ma ha un effetto significativo. Resta il sistema misto proporzionale-maggioritario con cui il Paese è andato alle urne alle Politiche del 4 marzo 2018, ma si modificano i seggi da attribuire nei collegi uninominali.
La riforma è stata proposta dalla maggioranza Lega-M5s per applicare il sistema attuale vigente alla legge costituzionale che taglia il numero dei parlamentari (400 deputati e 200 senatori).
Mentre tutti discutono sul caso dei “fondi russi”, il Senato ha quindi approvato ieri in prima lettura una riforma costituzionale che, mascherandola come taglio di parlamentari, di fatto trasforma il sistema elettorale, aprendo ancora una volta nella storia del dopoguerra la via a una possibile deriva autoritaria.
Cosa accadrebbe con un’elezione con il sistema elettorale di recente modificato ed i nuovi numeri parlamentari che al Senato incidono pesantemente sulla soglia di sbarramento? Magari mettendo in conto che la maggioranza che approva la legge possa presentarsi unita…
La verità è che dopo la fine dei partiti per logica segue la fine della democrazia. Come già con il tentativo di Renzi l’esito è fare riforme costituzionali per giustificare riforme elettorali che hanno l’intenzione di perpetuare maggioranze politiche già in essere o leadership ambiziose più del necessario.
Adattare le regole del gioco alle caratteristiche dei giocatori più in forma o più in voga. Non finirà bene.