Se fino al 15 ottobre il Green Pass ha prevalentemente avuto funzione di selezione per l’accesso alle aree chiuse di bar e ristoranti – senza impatti negativi sull’economia di questo settore -, dallo stesso giorno il lasciapassare verde è diventato obbligatorio in tutti i luoghi di lavoro, cosa che non poteva non creare qualche tensione.
Mentre prosegue la protesta, in particolare a Trieste, da più osservatori si è messo in contrasto tale strumento con il lavoro, ritenendolo ostativo del diritto sancito dall’articolo 1 della nostra Costituzione se non strumento lesivo della libertà individuale.
Non si vuole qui tornare su una polemica che parte da lontano, sin dalla sua introduzione per quanto in un primo momento limitata. Più semplicemente, ora che il Green Pass si estende alla sfera del lavoro, vorremo far notare cos’ha generato una situazione in gran parte evitabile.
È dall’inizio della pandemia che in molte aziende sono stati organizzati sistemi di tracciamento estesi anche ai familiari dei dipendenti (ad es. Ferrari). Più recentemente, molte imprese (ad es. Naturasi) hanno organizzato un sistema gratuito di tamponi per evitare disservizi e discriminazioni tra i propri dipendenti. Vi è poi il caso tutto particolare dei trasporti e della logistica – settore già stressato da crisi e rincari delle materie prime – in cui gli imprenditori hanno preferito pagare i tamponi piuttosto che le penali. Come si suol dire, prevenire è meglio che curare: disfunzioni e ritardi sulle consegne evidentemente sono costi più onerosi.
Vi è poi il caso Mediaset. L’azienda ha messo a disposizione un tampone gratuito la settimana per i propri dipendenti: il costo dei tamponi è così distribuito tra impresa e lavoro. È evidente che il problema è qui: i tamponi hanno un costo, chi se ne fa carico? Nessuno è contrario per principio al tampone. Infatti, esistono i novax, i nogreenpass ma non esistono i “notamp”. Com’è altrettanto evidente che il Governo non poteva spingersi a regolare la ripartizione di questo costo.
Emergenze e tensioni sembrano poter rientrare nel breve periodo: in Italia la prima vaccinazione ha raggiunto l’85% della popolazione vaccinabile (quella sopra i 12 anni) e il commissario Figliolo dice che a metà novembre saremo al 90%. La protesta è quindi piuttosto contingentata e nel frattempo la situazione clinica dà segnali confortanti, cosa che fa pensare che il Green Pass possa essere alleggerito nelle sue restrizioni.
Tuttavia, le rappresentanze di impresa e lavoro esistono soprattutto per far fronte a casi come questo. Nelle imprese medio grandi la presenza del sindacato facilita soluzioni condivise. Il problema è, anche stavolta, ciò che accade nella piccola impresa (95% del nostro sistema produttivo). Confindustria e sindacati dovevano trovare una soluzione – che si sarebbe poi riverberata oltre il settore industriale – non appena il Governo ha annunciato l’estensione obbligatoria del green pass ai luoghi di lavoro.
Per certi versi, durante i mesi di lockdown si è assistito a un analogo film: il lavoro a distanza che trovava regolazione nelle imprese medio grandi – attraverso gli accordi aziendali -, ma non in quelle piccole. Una volta il sistema confederale era la naturale risposta a questi problemi. Oggi evidentemente non lo è più. Resta da capire, a questo punto, quale ne sia la funzione.
Twitter: @sabella_thinkin
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