Il rialzo dei tassi da parte della Bce ha fatto salire lo spread italiano. L'Eurotower non poteva però fare altrimenti, vista l'alta inflazione causata dalla crisi energetica
La decisione della Bce di giovedì, con il rialzo dei tassi e l’impegno a combattere l’inflazione ha suscitato un coro di polemiche per il rialzo dei rendimenti dei titoli di stato italiani e l’aumento dello “spread”. In ogni fase di rallentamento economico e di rialzo dei tassi l’Europa si ritrova con le stesse sfide: la difficoltà di una politica monetaria unica che si riverbera su aree molte diverse per debito e caratteristiche economiche in assenza di meccanismi di riequilibrio che hanno tutte le altre monete. Il decennale italiano rende di più di quello tedesco, francese, portoghese e spagnolo e il debito lordo italiano è molto più alto della media europea. Per l’Italia le fasi di stress economico, finanziario o di riduzione della liquidità comportano un costo più alto degli altri Paesi membri. In questa fase poi si aggiunge la crisi energetica che assume proporzioni molto diverse a seconda di quale sia la nazione europea.
Lo scenario attuale ha caratteristiche uniche rispetto a ogni altra fase successiva alla creazione dell’euro. L’inflazione non è, come accaduto per lunghi tratti, costantemente inferiore all’obbiettivo del 2% della Bce. Le materie prime non sono più immediatamente disponibili a prezzi contenuti per i compratori. L’America non ha una crisi energetica e deve fare i conti con le conseguenze di anni di politiche monetarie e fiscali espansive culminate nelle decisioni del 2020 e che oggi si traducono in un mercato del lavoro quasi impazzito.
In Europa l’inflazione è qualitativamente peggiore di quella americana; non è, innanzitutto, un’inflazione da domanda ma da crisi energetica. L’Europa non ha materie prime o risorse naturali “proprie” con cui affrontare la volatilità dei mercati globali. L’Europa è obbligata a essere un partner credibile in un mercato delle materie prime in cui il potere contrattuale si è spostato dalle mani del compratore a quello del venditore.
Se l’Europa lasciasse andare il cambio e la sua moneta, per quanto scassatissima e imperfetta sia, si ritroverebbe con più inflazione, visto che l’Europa importa tutte le materie prime e molti alimentari, e farebbe più fatica a presentarsi come partner commerciale di lungo termine. La Bce potrebbe decidere di comprimere il rendimento delle obbligazioni statali europee, ma il rischio è di trovarsi con una montagna di inflazione e la valuta distrutta. In questo scenario per l’Italia la sfida è duplice: da un lato risolvere la crisi energetica, sostituendo il gas russo e consolidando i rapporti con i Paesi esportatori del Mediterraneo, dall’altro lavorare sulla spesa pubblica per comprimere gli effetti più negativi di questa fase su imprese e famiglie. Non si può fare tutto e in un mercato del lavoro che sembra tenere i tagli che si rendono necessari sono quelli politicamente più complicati.
La Bce non ha molte alternative e deve evitare che l’inflazione diventi una rotta fuori controllo in stile sudamericano. Non se lo può permettere perché, a differenza del Sud America, l’Europa non ha terreni sterminati e materie prime in abbondanza.
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