Arrivano notizie interessanti dalla Germania, che offrono anche un'importante opportunità all'Italia, se vorrà sfruttarla

Nemmeno un giorno da quando ho fatto notare come l’atteggiamento di eccessiva sponda del Governo italiano verso l’Amministrazione Trump mostrasse sia profili di intelligenza strategica che palesi rischi di inaffidabilità, ecco arrivare le tariffe Usa contro l’Europa. Fino al 25%. Automobili comprese.



Minaccia o realtà? Diciamo che, stante lo stato di salute dell’economia Ue, azzardare dei bluff può risultare letale per Bruxelles. Ancorché l’ennesimo rinvio di un mese dei dazi verso Canada e Messico possa far deporre a favore di una strategia del gatto col topo di Washington. Materiale altamente infiammabile, comunque.



In compenso, dentro un’Ue che minaccia ritorsioni forti e immediate, volano stracci. Nella fattispecie fra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron, reo di aver come al solito bypassato tutti gli altri Stati membri e il principio di collegialità con la sua visita (a tratti farsesca) a Washington.

Ma cosa sta accadendo, davvero, in seno all’Unione? L’epicentro potrebbe essere nella Germania fresca di normalizzazione post-elettorale. Una bella e rassicurante Grosse Koalition in nome del pericolo del Quarto Reich rappresentato da Alice Weidel e soci.

Attenzione, però, a non inquadrare il bersaglio sbagliato. Ci sono infatti variabili meno rumorose di quelle legate all’immigrazione o all’Ucraina cui prestare attenzione. E, magari, su cui fare leva. Perché rischiano di pesare parecchio, quantomeno sul medio termine. Magari non in sede di discussione per la nascita dell’ennesimo Governo ammucchiata. Ma certamente proprio in sede europea.



Come mostra il grafico, martedì la Bundesbank ha infatti annunciato perdite per 19,2 miliardi nel 2024, le prime dal 1979 e le maggiori in tutta la sua storia.

Ora, mettiamo la questione in prospettiva. Il dato va attribuito in larghissima parte all’aumento dei tassi operato dalla Bce dall’estate del 2022 per contrastare l’inflazione, il quale ha portato con sé una maggiore remunerazione per i depositi che le banche commerciali tedesche detenevano presso la Buba. Detto questo, già nel 2023 la Bundesbank aveva generato una perdita da 21,6 miliardi di euro, ma questa fu interamente coperta dal fondo previsionale di rischio e altre facilities di riserva. Alla fine del 2024, però, in cassa erano rimasti solo 0,7 miliardi di euro, insufficienti a un nuovo off-setting. Detto fatto, la perdita accumulata di 19,2 miliardi verrà trascinata nel 2025 e contabilizzata per intero.

Intendiamoci, nessun default di Berlino alle viste. Ma occorre prendere atto del fatto che il Cancelliere designato ha già ribadito contrarietà verso un ammorbidimento dei toni verso la Russia. Quindi, quanto mostrato in questo secondo grafico potrebbe generargli qualche rogna interna. Chi si attendeva una trasformazione del rublo in carta igienica e il conseguente, mitologico default di Mosca dovrà attendere.

Se la pressione dell’Amministrazione Biden aveva spinto il cambio con il dollaro sopra quota 110, pochi giorni di politica estera trumpiana sembrano aver riportato il sereno al Cremlino. Rendendo di fatto inutile tutta la componente finanziaria delle sanzioni Ue. Che fare, quindi, in caso l’opinione pubblica cominci a mugugnare a tempo record rispetto all’esito del voto, al netto di 1 tedesco su 5 che ha votato AfD e visto il suo voto relegato a tappezzeria?

Blame on Club Med. Prendersela con quegli Stati che obbligano la Bce a onerose politiche di sostegno dei loro debiti. Un classicissimo del playbook teutonico, fin dai tempi di Wolfgang Schaeuble. Vedi il reinvestimento titoli del programma di acquisto pandemico, ad esempio, già in fase di phase out da inizio di quest’anno. Ma che forse qualcuno a Berlino vorrebbe accelerare, adesso. E dove finirebbe il nostro miracoloso spread, in quel caso?

Ma ecco la novità. Commentando l’outlook economico e non escludendo per il 2025 un destino da terzo anno di fila senza crescita, Joachim Nagel ha decisamente sposato una linea aperturista verso politiche accomodanti. Sia spronando il proprio Governo a fare il necessario per affrontare le nuove sfide geopolitiche, sia evitando toni troppo da falco nei confronti proprio della guidance della Bce.

Paura, insomma. Un varco in cui Giorgia Meloni farebbe bene a infilarsi. Sia per la strategicità (anche commerciale) dell’alleato, sia per spezzare ex ante e a proprio vantaggio l’asse renano Merz-Macron.

Attenzione, poi. Perché se la Germania rischia di dar vita a una campagna europea di primavera incentrata sull’incertezza, una nota stonata tutta interna al nostro Paese pare suggerire la necessità di un innalzamento dell’attenzione. Trattasi della clamorosa ammissione del ministro per l’Ambiente, a detta del quale una volta raggiunto un accordo di pace, l’Italia tornerà a comprare gas russo a basso costo. Siamo sicuri che Donald Trump lo permetterà, soprattutto dopo la sviolinata verso Giorgia Meloni, di fatto battezzata come ambasciatrice degli Usa presso l’Ue e alla luce del suo diktat all’Europa per l’acquisto di Lng statunitense?

E se anche Washington accettasse, sicuri che Mosca ci offrirà le medesime condizioni del pre-sanzioni, anche alla luce del caso Mattarella? E quando il Consiglio dei ministri convocato per dare via libera al decreto di aiuto sul caro-energia viene sconvocato dalla presidente del Consiglio per carenza di disponibilità (facendo infuriare il Mef) e il passo successivo è quello di rinviare una decisione finale a tre mesi e sperando che il prezzo del gas nel frattempo scenda, perdere tempo appare davvero l’unica variabile da non annoverare in agenda. Perché dopo i termosifoni, arriva l’aria condizionata. O volete ancora sudare per Kiev?

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