Nella vita, il tempismo è tutto. E lo è anche sul mercato. E in politica. Questione di porte girevoli. Basta un attimo, è tutto crolla. Oppure, tutto si sistema magicamente. Come un puzzle che si risolve da solo. Non so voi, ma di quanto sta accadendo al Parlamento Ue mi stupisce un solo particolare: come sia stato possibile che gli emiri del Qatar abbiano affidato la tutela politica di un progetto miliardario e di importanza strategica come i Mondiali a una banda di deficienti tali da far impallidire Peppe Er Pantera e i soliti ignoti suoi sodali. Davvero voi pensavate che in un contesto dove circolano liberamente circa 18.000 agenti accreditati per attività di lobbying, tutto funzionasse in piena e totale trasparenza? Davvero credevate che il Qatar non si tutelasse, dopo le polemiche esplose all’atto di assegnazione dei Campionati del mondo? Parliamo del dicembre 2010. Pensate che in 12 anni soltanto quei sei abbiano preso mazzette?
Al netto che chiunque lavori a un certo livello con i Paesi africani sa che la corruzione è parte integrante del business, a stupire è il tempismo di certe flagranze di reato che rendono necessari arresti eclatanti. Nel pieno dei quarti di finale, quando l’attenzione mediatica è massima a livello globale. E, soprattutto, subito dopo la firma di due contratti di fornitura di gas da parte del Qatar con Cina e Germania, rispettivamente di 27 e 15 anni di durata. Un record. Qualcuno forse non ha gradito l’eccessiva spericolatezza della politica energetica degli emiri? Casualmente, il tutto mentre Xi Jinping tornava in Cina dalla visita in Arabia Saudita con 30 miliardi di accordi commerciali in tasca, l’onore del primo China-Arab Summit con 30 capi di Stato a coccolarlo e, soprattutto, l’intesa di massima per accordi in campo energetico da denominare in yuan e gestire attraverso il clearing della Borsa di Shanghai. E qui, sicuramente qualcuno non ha gradito. Ma tutto questo, ovviamente, sfugge dai radar. Siamo al cane di Pavlov di Tangentopoli, la versione 2.0 dei puff di Poggiolini sta facendo sbavare la stampa: quei sacchi di banconote sono sangue nella piscina degli squali. Squali ciechi, però. O ben ammaestrati. Perché, appunto, soltanto dei deficienti si fanno corrompere e tengono il denaro in casa, quasi si sentissero intoccabili.
Così non è stato, invece. E con tempismo fantastico, dopo 12 anni di polemiche da reportage strappalacrime sui lavoratori morti nella costruzione di stadi e infrastrutture. Ma nemmeno un fiato a livello ufficiale. Né giudiziario. Né tantomeno di boicottaggio. Poi, l’apocalisse. La quale, ovviamente, contiene come per magia i due elementi qualificanti di ogni ricerca social e algoritmica di questo momento in Italia: contante e Ong. E, stranamente, con focus pressoché assoluto proprio sul nostro Paese, stante la nazionalità degli indagati. In subordine, la Grecia, rappresentata indegnamente dall’ex voce-presidente del Parlamento Ue, destituita con voto unanime a tempo di record. E compagna di un altro indagato, italianissimo e lesto a vuotare il sacco. Stranamente, la Grecia è nel mirino per la sua attività marittima un po’ troppo di manica larga con i tankers che trasportano greggio russo sotto falsa denominazione. Chissà, magari anche in questo caso qualcuno non ha gradito.
Quei sei sono innocenti e sono stati messi in mezzo? No. A parte la moglie e la figlia di Panzeri, il cui grado di conoscenza legato alla provenienza di quel denaro è tutto da provare, gli altri hanno intascato. E devono pagare. Detto questo, evitiamo di prenderci in giro. A Bruxelles ha sede – in una location di recente ristrutturazione e di dimensioni che tolgono il fiato – un’altra istituzione sovranazionale di primaria importanza. La quale, ovviamente, ha rapporti. E, soprattutto, redige e compila rapporti. Vuoi vedere che questo strano scandalo a orologeria non sia altro che il warm-up della scoperta di un livello superiore di corruzione e penetrazione delle istituzioni europee? Il quale, casualmente, farà capo a Cina e Russia. Si accettano scommesse al riguardo. D’altronde, certe strane coincidenze non sono affatto appannaggio unico dell’Europa. Assolutamente.
Che dire, ad esempio, di quanto accaduto lunedì negli Usa? Dopo intere settimane a piede libero, spese a confessare le proprie colpe sui social o addirittura a un evento pubblico organizzato dal New York Times solo il 30 novembre scorso, il Dipartimento di Giustizia statunitense ha fatto scattare il mandato di arresto per Sam Bankman-Fried, l’ex CeO della piattaforma cripto FTX. La ragione? Apparentemente, pericolo di fuga. In effetti, l’ex pupillo di Bill Clinton si trovava alle Bahamas. Dove, però, si era recato da uomo libero e mostrando alle autorità il passaporto Usa che nessuno in patria si era premurato di ritirargli o bloccargli. Perché allora questa fretta, rischio che reiterasse il reato? Con quali fondi, avendo bruciato miliardi? In compenso, l’arresto impedirà a Sam Bankman-Fried di testimoniare sotto giuramento al Congresso.
E qui la questione diventa ancora più bizzarra: quale interesse avrebbe la pubblica accusa nell’evitare che un imputato eccellente vada ad ammettere le sue colpe di fronte al tempio assoluto della democrazia? Perché il Dipartimento di Giustizia vuole evitare che il colpevole di una frode degna di Bernie Madoff non si impicchi da solo alle proprie responsabilità, facilitandole il lavoro e magari spalancando la porta a risarcimenti? Forse si teme qualche chiamata in correità eccellente? Qualche succoso particolare sull’attività parallela di clearing fra dollari e cripto di cui si vocifera lungo la tratta Washington-Kiev? O altro ancora, stante il ruolo di presidentessa di un comitato di raccolta fondi del Partito Democratico della madre di Sam Bankman-Fried, una stimata e molto liberal docente di legge a Stanford?
Chi lo sa, l’unica certezza è che l’enfant prodige caduto in disgrazia resterà in custodia alle Bahamas fino all’8 febbraio. Lontano dal Congresso. Poi si vedrà. Poi, magari, persino l’eco mediatica sul caso FTX sarà scemata. E lui potrà rifarsi delle perdite, scrivendo in carcere un bel libro di memorie.
Come vedete, il tempismo è tutto. Anche in Italia. E proprio in queste ore. Prendete ad esempio la lettera che Giorgia Meloni ha scritto al Corriere della Sera e con la quale promette alla madre della giornalista Graziella De Palo, scomparsa a Beirut nel 1980 insieme al collega Italo Toni, di fare di tutto per scoprire la verità. Quale atto ha immediatamente invocato il presidente del Consiglio? La desecretazione degli ultimi atti relativi ai rapporti fra Italia e OLP. Di fatto, il lodo Moro. E chi nell’agosto del 2019 presentò una proposta di legge per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta ad hoc? E chi, soprattutto, oggi si occuperebbe di quella desecretazione, grazie a una freschissima nomina in seno al ministero dei Beni culturali che ne è in parte investito attraverso l’Archivio Centrale di Stato? Fate qualche piccola ricerca su Google e poi unite i puntini, come fece Don Camillo con l’anagramma di Peppone quando vinse al Totocalcio. E anche voi, grattato via il nobile intento di garantire giustizia a una madre 99enne, potreste scoprire il meno edificante proposito di riscrivere la storia della strage di Bologna per via parlamentare. Con timing perfetto, però.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.