A Tokyo, la situazione è talmente tranquilla rispetto all’allarmismo occidentale per quella che in fondo è solo un’influenza che lo stato di emergenza durerà per tutto il periodo delle Olimpiadi: rinnovo delle limitazioni dal 12 luglio al 22 agosto e gare senza pubblico in determinate aree della capitale, mentre con capienza massima di 5.000 persone altrove. Ma va tutto bene. Non sono un virologo e non mi permetto di dire chi abbia ragione e chi torto. Però una cosa è certa: il mondo sta impazzendo.
Le scene giunte negli ultimi due giorni da Wembley parlano chiaro: la Gran Bretagna apre aver voglia di Covid, brama per contagi di massa. I quali, infatti, tanto per creare aspettativa in vista della gara della nazionale contro la Danimarca sono saliti a 30.000 in un giorno. Poi, la folla allo stadio: non una mascherina a pagarla fra il pubblico. Sessantamila persone. Ed ecco che, di colpo, sale l’allarme per i possibili festeggiamenti in caso di vittoria dell’Italia domenica: «Scendere in piazza senza mascherina è un errore», ha sentenziato Pier Paolo Siileri a RaiNews24. Vero. Io continuo a indossarla e lo farò a oltranza, anche all’aperto. Chi andrà però a controllare, in caso di vittoria? Polizia e carabinieri? Per favore, avremmo la rivoluzione. E poi, sinceramente, con che faccio uno Stato vieta o limita i festeggiamenti per la Nazionale, quando non controlla chi arriva dall’estero con l’aereo, come testimoniano decine e decine di servizi dei tg?
Questa tabella mostra plasticamente l’incedere della variante Delta in Spagna: praticamente, solo giovani i nuovi infettati che stanno facendo salire l’allarme e tornare in campo ipotesi di restrizioni mirate. E qui occorrerebbe un po’ di chiarezza, magari dall’Oms: siamo di fronte a un qualcosa di potenzialmente pericoloso o chi è vaccinato non deve temere? I vaccini proteggono o meno dalle varianti? E, più in generale, quale reale livello di copertura offrono, se già si parla di terza dose necessaria per tutti?
La verità è una sola: nessuno sa nulla. Comunità scientifica in testa. Il mondo va in ordine sparso: l’Australia chiude tutto e rinvia i gran premi di auto e moto, il Giappone sta tramutando le Olimpiadi in un evento per pochi intimi, mentre Boris Johnson va allo stadio vestito da hooligan e conferma il liberi tutti dal 19 luglio con 30.000 contagiati al giorno e il parere contrario dell’associazione dei medici.
In compenso, mentre il mondo provava a capirci qualcosa, Fed e Bce inviavano segnali al mercato. Le minute dell’ultimo board della Banca centrale Usa, infatti, lasciano intendere un primo intervento di taper già dopo l’estate, mentre la due giorni di meeting straordinario dell’Eurotower per la policy review ha portato con sé una novità straordinaria: il target inflazionistico di riferimento non è più attorno ma inferiore al 2%, bensì al 2% e con possibilità di overshoot in determinate condizioni. Ovviamente, come quelle attuali. Transitorietà, questo l’imperativo e il mantra. Praticamente, il nulla partorito dopo due giorni di dibattito. E, soprattutto, un qualcosa di cui il mercato si disinteressa totalmente, stante la reazione di ieri mattina della Borsa: a pesare era certamente la Cina ma anche e soprattutto l’assenza di un annuncio per il Pepp open-ended che il mercato si attendeva, questo sì, da Francoforte.
Non sono un virologo, quindi evito incursioni in campi che non mi competono. Però so una cosa: in Europa, solo due Paesi stanno negando l’evidenza e tirando dritti con il ritorno alla normalità a tutti i costi: Gran Bretagna, europea solo geograficamente e per potenzialità di contagio, e Grecia. I motivi? Per i Regno Unito parlano questi due grafici, freschi freschi di pubblicazione con il report dell’Office for Budget Responsability, documento che immagino Boris Johnson abbia letto prima della sua pubblicazione ufficiale del 6 luglio e che temo sia stato alla base della sua apparentemente scriteriata decisione di togliere tutte le restrizioni fra dieci giorni.
Una sintesi? La Gran Bretagna rischia un colpo finanziario a livello di conti pubblici potenzialmente catastrofico a causa dei sempre crescenti costi della pandemia. Usa proprio quel termine il watchdog governativo per il controllo dei conti: catastrofico. E lo quantifica anche: i costi accessori della pandemia senza copertura, né finanziamento, già oggi ammonterebbero a 10 miliardi di sterline l’anno almeno per i prossimi 3 anni. Ora, al netto del tocco magico che il Brexit garantirà all’agire dell’esecutivo conservatore, capite perché al 10 di Downing Street hanno sfidato l’apparenza di bipolarità nel comportamento e cambiato idea nell’arco di dieci giorni, passando dall’ennesimo rinvio delle aperture a giugno all’attuale, nuovo liberi tutti? Perché al netto di dati di crescita per l’anno in corso che garantiscono titoli a nove colonne agli apologeti sotto copertura dell’abbandono dell’Ue (anche di casa nostra), la realtà è chiara: scambiare un rimbalzo dagli abissi del 2020 per trend di crescita sostenibile e di medio termine equivale a scambiare l’alba con il tramonto. È la logica del gatto morto: il quale, anche se deceduto, cadendo dal quarto piano rimbalza comunque su un tendone. Ma sempre morto rimane. Ecco, l’economia senza più sostegni europei della Gran Bretagna è talmente sana e forte senza i lacci e lacciuoli di Bruxelles da obbligare una mossa suicida come quella compiuta da Boris Johnson. Ammesso che la variante Delta rappresenti un pericolo, poiché in caso contrario il premier britannico merita il Nobel per la Pace e la classe medico-scientifica globale un declassamento al ruolo di portantino del pronto soccorso.
C’è poi la Grecia, la quale continua ad attrarre turisti come un magnete in base a un mantra: venite a frotte, qui nessuna limitazione. E questa grafico mostra plasticamente il motivo per cui Atene proseguirà giocoforza su questa strada, persino se la variante Delta dovesse fare la sua prepotente comparsa. Il tracciatore dei super-yacht di Bloomberg ha fatto una bella fotografia dello status quo relativo alle mete predilette dei natanti da nababbo al 25 giugno scorso. Guardate dov’erano, segnalati dai punti gialli di maggiore intensità: Grecia soprattutto ma anche Liguria e costa tirrenica. E quella è una clientela a cui non si dice di no e che non gradisce limitazioni: paga tutto e vuole tutto. A qualsiasi prezzo. Anche quello della salute collettiva, in caso davvero la variante Delta rischi di farci sprofondare in un déjà vu dell’autunno 2020.
E il motivo è palese: la grandissima parte degli Npl che ancora gravano sui bilanci bancari greci fa riferimento al comparto turistico, voce che pesa per un quinto del Pil. Senza una stagione estiva di urlo a livello di incassi, a settembre altri prestiti e fidi andrebbero in sofferenza. Un doom loop noto alla Grecia, il quale però sconterebbe un aggravante: nell’arco di pochi mesi, se la Bce non cambiasse idea sulla scadenza del 31 marzo per il Pepp, verrebbe meno la deroga di accettazione del debito ellenico come collaterale per operazioni rifinanziamento. E saremmo dentro un’altra crisi del debito del Partenone, aggravata però da leverage molto più alto, detenzioni di debito pubblico da parte delle banche insostenibili e tracollo del Pil da Covid con cui fare i conti come denominatore per mantenere in linea di sostenibilità i costi di servizio di quel debito. Tradotto, in Grecia potrebbe arrivare anche Ebola e non chiuderebbero nulla. Perché l’alternativa è quella di chiudere il Paese per fallimento, dopo averlo scampato dieci anni fa.
Non sono un virologo ma un po’ di economia e finanza ci capisco: la realtà è solo questa. E quando il professor Andrea Crisanti in un’intervista con La Stampa parla di «decisione politica del governo di favorire il contagio, scelta che pagheremo drammaticamente in autunno», nessuno riesce a farmi distogliere lo sguardo da quella mappa e dai punti giallo acceso lungo le coste liguri e tirreniche. Sarà per questo che Mario Draghi, ogni piè sospinto, ci invita a togliere gli occhiali con le lenti rosa dell’ottimismo a oltranza?
Mi raccomando, noi preoccupiamoci di festeggiare la Nazionale e accapigliarci sulla legge Zan. Poi non lamentiamoci, però.
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