In attesa del suicidio annunciato della Bce, stante anche il dato inflazionistico francese in rialzo che ha rafforzato il tailwind di quello tedesco, diamo un’occhiata al livello di manipolazione che cova sotto la cenere dei continui record d’Oltreoceano.
Perché c’è molto di strutturale in questo casinò che, giorno dopo giorno, perde i connotati del gioco d’azzardo e assume quello dello schema Ponzi. Istituzionalizzato e finalizzato al mantenimento dello status quo.
Guardate questi due grafici, due facce della medesima medaglia. Il primo ci mostra come, su dati ufficiale Fdic, nel primo trimestre di quest’anno le unrealized losses del sistema bancario statunitense su securities sia negoziabili che contabilizzate come detenute fino a scadenza siano salite ancora di controvalore. Qualcosa come 517 miliardi di dollari. Insomma, le banche Usa fingono di non dover fare i conti con mezzo trilione di perdite potenziali. E se la cifra in sé già dovrebbe farci riflettere, è il trend a spaventare. Perché a metà marzo la Fed ha giocato l’azzardo della chiusura del Btfp, il fondo salva-banche. Esattamente come la Bank of Japan ha deciso un rialzo dei tassi suicida, solamente per inviare all’esterno un segnale di sostenibilità che i fatti hanno smentito in meno di due mesi.
La Banca centrale Usa era certa che l’ampliamento della platea di istituti ammessi alla Discount Window, più qualche magheggio di Qe come il buyback settimanale di Treasuries cominciato mercoledì scorso, potesse tenere sotto controllo la situazione. Ed evitare altri default di banche regionali eccessivamente esposte ai prestiti al settore immobiliare ad uso non abitativo. Il cosiddetto Cre, commercial real estate.
Ed ecco che il secondo grafico mostra appunto tutta l’ipocrisia del Sistema e dei suoi presunti regolatori: a partire dal 2022, le piccole banche statunitensi hanno letteralmente raddoppiato la loro detenzione di quelle cartolarizzazioni ad alto rischio di bolla legata all’andamento dei tassi. E oggi sono al massimo da 14 anni. Nessuno si era accorto del fatto che istituti con cuscinetti prudenziali decisamente limitati e poco rassicuranti stessero caricando i loro bilanci di securities che potevano tramutarsi in bombe a orologeria, una volta iniziato il ciclo di innalzamento dei tassi più drastico e rapido quasi di sempre e contestualmente un congelamento di mutui e mercato immobiliare?
Solo oggi, il numero uno della Fed di Minneapolis, decide che è ora di mettere le mani avanti. Intervistato da Bloomberg TV, parla del Cre come di un rischio sostanziale che porterà con sé perdite a bilancio ormai inevitabili. Ma non era tutto risolto? La crisi bancaria non è un brutto ricordo? Perché la Fed ha chiuso il Btfp con puntualità svizzera lo scorso 11 marzo, quando i dati Fdic parlavano chiaramente di un’esposizione che continuava a crescere e che poteva solamente cominciare a scontare default?
Ora guardate quest’altro grafico, dal quale si evince come non più tardi della scorsa settimana la tranche più sicura del bond da 308 milioni di controvalore legati al mutuo di un immobile sito a Lower Manhattan abbia patito una perdita di oltre il 25% dell’investimento iniziale.
Le porzioni meno sicure della salsiccia? Cancellate, un wipe out totale. Tradotto, perso tutto quanto investito. E questi ultimi dati rispetto all’esposizione al comparto e al tasso di unrealized losses bancarie sembrano dirci che l’intervento del numero uno della Fed di Minneapolis sia il classico mettere le mani avanti, avendo preso atto che ormai il Sistema si trovi di fronte alla punta di un iceberg non più evitabile del tutto. Magari non ci affonda. Magari non ci ribalta. Ma qualcuno certamente finirà in acqua. Perché l’outstanding relativo a Cmbs non-agency (i bond legati appunti al Cre) è pari a 700 miliardi di dollari. Mentre sono pari a 3 trilioni di dollari i mutui commerciali contabilizzati in maniera più o meno esotica nei bilanci delle banche Usa.
E la stessa Fed, prima della palese ammissione del numero uno del Minnesota ai microfoni di Bloomberg TV, nelle minute dell’ultimo Fomc pubblicate dieci giorni fa parlava di deterioramento negli standard del mercato Cre interno e di una drastica contrazione delle sue condizioni finanziarie. Circa 52 miliardi di controvalore in Cmbs legati a uffici, il 31% del totale, nel mese di marzo ha segnato un aumento delle criticità drastico: nel medesimo periodo del 2023, il totale di cartolarizzazioni con criticità strutturali era pari al 16% del totale, stando a dati di Kbra Analytics. E la percentuale di delinquencies su Cmbs cosiddetti office packaged, ovvero legati a spazi con destinazione a uso ufficio, il vero pump’n’dump del post-pandemia e della fine dello smart working collettivo, era pari al 6,4% in aprile. Il massimo dal 2018.
Il vero nodo del problema, quello che ora fa gridare Al lupo, al lupo? Quest’anno 929 miliardi di cartolarizzazioni immobiliari con vari livelli di rischio impacchettati insieme – ma tutte con destinazione commerciale – andranno a scadenza. Si tratta di oltre il 20% dei 4,7 trilioni totali e segna un aumento del 28% rispetto al 2023.
Tutto questo sta accadendo oggi negli Usa. Tracce sui quotidiani autorevoli, più o meno settoriali? Zero. Capito perché il Tesoro ha deciso di dar vita – senza preavviso – a 2 miliardi di controvalore settimanale in buyback di titoli di Stato ormai non più negoziabili e che dormono nei bilanci bancari, da oggi fino a fine luglio e compresi 500 milioni in carta da parati indicizzata all’inflazione (Tips)? Perché occorre ripulire un po’ gli stati patrimoniali. Senza dare nell’occhio. E senza finire fra le breaking news. Ma quanto durerà il giochino?
L’importante è che si arrivi al 5 novembre. Per chi non lo avesse capito. Dopodiché, l’alibi che prenderà residenza alla Casa Bianca farà il resto.
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