Con tempismo straordinario rispetto al primo dibattito televisivo di questa sera, il New York Times spara uno scoop in base al quale il presidente Donald Trump non pagherebbe tasse da dieci anni. Il motivo? Forse peggiore del reato, almeno in base all’aura da self made man di successo che da sempre contorna l’inquilino di Pennsylvania Avenue: come imprenditore è talmente un fallito da non dover nulla all’erario, visto che le sue aziende perdevano cronicamente più di quanto guadagnassero. Un colpo da ko, un diretto d’incontro al mento. Difficile rialzarsi. Ma, cari lettori, questo varrebbe in condizioni normali. Noi viviamo nel new normal, dove tutto va messo in prospettiva. Ad esempio, quella che ci viene offerta da questo grafico, dal quale si evince che grazie all’operatività della Fed, oggi negli Usa il numero di zombie firms è in fase di approccio al livello record registrato nel 2000.
Cosa sono le zombie firms, in base alla definizione ufficiale che di loro offre la Banca per i regolamenti internazionali (Bri)? “Una azienda zombie è quotata, esistente da almeno dieci anni e con una ratio fra Ebitda (risultato ante oneri finanziari) e spese per interessi inferiore a 1″. Insomma, un’impresa la cui sopravvivenza è legata al costante rifinanziamento del suo debito e che, a meno di una ristrutturazione e tassi inferiori, è incapace di coprire le spese per interessi con i profitti operativi. In parole povere, falliti che camminano. Dead men walking. E nell’America di oggi questi soggetti non solo proliferano, ma non suscitano nemmeno l’ira liberista e meritocratica di nessuno. Per due motivi.
Primo, a rendere possibile la dinamica è la politica della Fed attraverso il suo programma di acquisti obbligazionari corporate, il quale lo scorso marzo ha subito un’accelerazione senza precedenti per salvare Ford e Boeing dopo il downgrade del rating: un ampliamento pressoché totale della platea di collaterale accettato per operazioni di rifinanziamento presso la Banca centrale. Ovvero, l’istituzionalizzazione dei tassi più bassi citati nella definizione della Bri: qualsiasi sia la tua valutazione creditizia, tu emetti pure la tua carta igienica sotto forma di bond a ciclo continuo, perché la Federal Reserve la comprerà in ossequio alla lotta al Covid e tu potrai continuare a finanziare un debito in realtà insostenibile. E così campare, inquinando il mercato dei soggetti sani. Insomma, alla fine Donald Trump è stato solo un antesignano del new normal, se davvero saranno provate le accuse.
Secondo motivo per cui nessuno si scandalizza è offerto da questo altro grafico, il quale ci mostra come la manovra di stimolo innescata la scorsa primavera da Fed e Tesoro congiuntamente abbia portato i livelli salariali medi statunitensi al massimo storico. Tradotto, chi è rimasto a casa per il lockdown guadagnava mediamente con il proprio lavoro molto meno di quanto ottenesse attraverso la cosiddetta transfer window, ovvero attraverso i sussidi federali di 700 dollari la settimana. E stando comodamente sul divano. O lavorando nel frattempo in nero.
Scusate tanto, chi è così idiota da mettersi a strepitare e contestare un sistema che, pur garantendo sopravvivenza e proliferazione di aziende decotte, consente un tenore di vita che non si conosceva, presi come eravamo a spaccarci la schiena in fabbrica o lottare contro la gastrie da capo-ufficio mentecatto? Signori, ecco a voi il meraviglioso mondo degli schiavi da clientelismo di Stato, il parassitismo da helicopter money, la felice epopea umana da geometra Calboni che ruba lo stipendio e fa anche il doppio e triplo lavoro in nero, se riesce, ricambiando il sistema con il suo servilismo mediocre. E il problema sarebbe Donald Trump che non paga le tasse? In un contesto simile? Per favore, siamo solo al rumore radical chic di sottofondo. Perché dall’altro lato, c’è tutta un’America che è meglio lasciar dormire i suoi sogni, magari mentre in contemporanea tenta la scalata verso le stelle del mercato azionario attraverso piattaforme di trading on-line, alla faccia della rabbia contro i bankster di Wall Street. E il New York Times è contento di farlo. Altrimenti sarebbe stato costretto a dare contezza ai suoi lettori – magari con qualche mea culpa per toni eccessivamente accondiscendenti utilizzati in un recente passato – dell’arresto di uno dei capi di Black Lives Matter di Atlanta, Maejor Page, 32 anni, da parte dell’FBI. È accaduto sabato scorso.
L’accusa? Non ha pagato le tasse come Donald Trump? No, avrebbe utilizzato circa 200.000 dollari dei 470.000 raccolti su Facebook in donazioni per la sua associazione solo in giugno, luglio e agosto per l’acquisto di un immobile, un’automobile e vari capi d’abbigliamento di lusso. Una frode federale, accusa seria in America. Ma come si fa, quando si è tramutata Black Lives Matter in una sorta di Onu dei poveri afroamericani perseguitati dalla polizia bianca, razzista e trumpiana? Anche perché, signori, il business del politicamente corretto ormai è innescato. E visti i frutti offerti finora, nessuno deve permettersi di toccarne i protagonisti. Siano essi Greta Thunberg con i suoi pinguini sudati o i teppisti di Blm, il cui principale scopo – oltre a sparare a poliziotti e vandalizzare monumenti – pare quello di assaltare grandi magazzini per razziare sneakers da 300 dollari al paio, fulgido esempio di coscienza di classe e razziale. La conferma ce la offre questo grafico, dal quale si evince quale sia stata la marcia trionfale dell’emissione di bond ambientalmente sostenibili – i cosiddetti green bonds – nel 2019: oltre 350 miliardi di dollari di controvalore.
E l’anno in corso, rischia di risultare ancora più fruttuoso: stando a dati di Bloomberg appena diffusi, infatti, nel mese di settembre che sta per chiudersi sono state emesse obbligazioni sostenibili per oltre 30 miliardi di dollari, battendo così il record precedente che risaliva al novembre 2018 con i suoi 26 miliardi. Ecco come gli analisti di Bloomberg sintetizzano il trend: “Il livello di emissioni future è da attendersi in linea con l’attuale attivismo, questo perché le aziende vedono un’opportunità in questo mercato data dalla possibile imposizione verso l’esterno delle loro credenziali ambientaliste. Un qualcosa che, potenzialmente, può garantire ulteriore compressione dei costi di finanziamento, stante il sempre maggiore focus da parte degli investitori sul tema della sostenibilità”.
Insomma, dopo la Fed in modalità balia delle zombie firms, ecco arrivare anche la scorciatoia del profilo ambientalista e progressista al fine di garantire compressione dei costi per chiunque decida, da un giorno con l’altro, di infilare nello statuto riferimenti a qualche sperduta foresta dell’Amazzonia cui destinare i proventi dell’emissione per progetti di sviluppo e tutela. Direte voi, bene così, l’ambiente va tutelato. Certo, peccato che i green bonds, a oggi, ancora campino per la gran parte di autocertificazione del rating. E che, soprattutto, al loro interno esista una cosiddetta non-social portion variabile a livello di percentuale sui proceeds dell’emissione: insomma, una parte di quanto raccolto che l’azienda può destinare a finalità di proprio piacimento, non legate al vincolo social del bond. E se acquistassero titoli legati al comparto petrolifero, con quei soldi? O finanziassero un’azienda leader nei trasporti di idrocarburi in mare? Chi lo scoprirebbe? E quando? E se, come temo, meno fantasiosamente quegli introiti svincolati dalla pantomima ambientale verranno utilizzati per buybacks azionari che pompino le valutazioni dei propri titoli, come la mettiamo con la sostenibilità? Oppure Wall Street è diventata di colpo una sede di Greenpeace?
E poi, chi ha appena inserito i green bonds nella platea di eligibilità del suo piano anti-pandemia Pepp, fra gli scroscianti applausi della platea adorante e accarezzante foche monache? Ma la Bce, ovviamente! Bank of America, poi, ha appena emesso un bond per 2 miliardi di dollari, operazione di cui è anche bookrunner unico, al fine di perseguire “un miglioramento dell’eguaglianza razziale, delle opportunità economiche e della sostenibilità ambientale”. Tutto con 2 miliardi di dollari in bonds. Anzi, con una parte dei proceeds, quella sociale da vendere ai clienti e al resto della comunità finanziaria, tanto per darsi un po’ di arie da impegno civile. Le stesse che probabilmente caratterizzavano anche il profilo ufficiale di Maejor Page ad Atlanta, sicuramente dotato di talento per guidare una campagna social capace di raccogliere quasi mezzo milione di dollari in meno di tre mesi per Black Lives Matter, acronimo che ormai equivale a un sigillo di santità in un mondo dove prosperano i nazisti dell’Illinois foraggiati da Donald Trump. A sua volta, l’evasore.
Siamo veramente arrivati al cortocircuito dell’ipocrisia, un sistema basato su menzogne e omissioni per un’unica, esiziale finalità: mantenere viva la falsa speranza del Qe come unica risposta al “liberismo selvaggio” e all’austerity, al fine di contrabbandare una monetizzazione del debito strumentale alla speculazione finanziaria e all’indebitamento strutturale di governi incapaci e spesso corrotti in atto prodromico alla grande redistribuzione della ricchezza globale che porrà fine alla dinamica da 1% contro 99% della società. Tutto qui. Un lavoraccio, infatti tocca mettere in campo un armamentario di persuasione onnicomprensivo. E sempre più patetico.