Escludendo a priori di essere un genio, mi chiedo come sia possibile che la stampa italiana abbia il potere di schivare le notizie importanti come bandierine in uno slalom gigante.
Donald Trump è ovunque su giornali e siti. Ogni provocazione, ogni dichiarazione viene ripresa e, in base all’organo di stampa che la riporta, demonizzata o beatificata. Probabilmente è giusto così. In effetti, il personaggio è sufficientemente provocatorio e divisivo da giustificare un approccio simile. Ma in attesa dell’Inauguration Day di dopodomani, cari lettori, sappiate che a mio modesto avviso, il vero game changer sta tutto qui.
Lasciate stare la Fed. E i tassi fuori controllo rientrati miracolosamente in un range in allarme contenuto grazie al solito effetto jo-jo dell’inflazione. Anzi, in realtà, quei tassi così ballerini e pronti a ogni necessità, prendeteli pure in esame. Ma come conseguenza del contenuto di quel tweet di tre giorni fa. Non a caso, da quando Donald Trump ha postato sul social amico la sua intenzione di dare vita a un’agenzia per trasformare i partner commerciali esteri Usa in contribuenti – con tanto di nome, External Revenue Service (Ers) -, è cominciata a circolare la voce di un aumento dei tassi alla riunione del Comitato monetario del 28-29 gennaio
Il game changer sta tutto qui. E nella sua credibilità. Date un’occhiata a questi due grafici.
Il primo mostra come il mercato prezzi solo un 16% di possibilità che il Presidente imponga dazi del 40% sui beni cinesi nei primi 100 giorni. Insomma, un bluff a colpi di esenzioni come durante la prima Amministrazione del tycoon. Molta retorica, poca ciccia. Il secondo, invece, mostra come la possibilità di tariffe a livello globale nelle prime 48 ore di mandato sia salita dal 46% al 53% dopo il tweet.
Perché game changer? Perché se ha ragione chi chiama il bluff del Presidente, i prossimi tre anni passeranno all’insegna della minaccia permanente di dazi in modo tale da forzare gli operatori a un front-running del loro effetto sulla catena di fornitura/distribuzione. Il quale, a sua volta, si sostanzierà in un El Dorado di acquisti in tutti i settori per garantirsi prezzi bassi prima del botto o presunto tale. Comunque sia, atteso e percepito. Insomma, Donald Trump sta creando artificialmente e senza muovere ancora una sola pedina reale, i prodromi per un boom economico basato sulla paura della guerra commerciale. I cui costi impliciti, esattamente come i postumi dell’hangover per una festa riuscitissima ma un po’ troppo esagerata arrivano al mattino dopo, ricadranno sul suo successore.
Ovviamente, una simile politica avrà conseguenze sull’inflazione. La quale avrà conseguenze – per una volta non a tavolino – sulla politica monetaria. E la Cina certamente non aspetterà di essere travolta. Così come il Giappone, se davvero la prossima settimana azzarderà in tal senso addirittura un nuovo rialzo dei tassi dopo quello letale dello scorso luglio.
Quasi in contemporanea con quel tweet su X, Bloomberg rilanciava poi l’ipotesi di una nuova regolamentazione che Joe Biden intenderebbe firmare all’ultimo minuto utile, al fine di restringere il flusso di chip di Tsmc, Samsung e altri produttori verso la Cina. Una due diligence on China come viene definita nell’articolo. Sarà un bluff o no? Game changer, comunque. Di quelli veri, stavolta.
Mentre scrivo, le notizie continuano ad arrivare. Ad esempio, il tasso a 30 anni – benchmark sui mutui immobiliari – è volato a 7,64%, massimo da maggio 2024. E ancora i roghi californiani non hanno presentato il conto reale al settore per mezzo del proxy assicurativo e bancario. E tornando in Giappone, il titolo a 30 anni prima della salutare doccia fredda sui prezzi dell’inflazione Usa era salito addirittura al 2,362% di rendimento, massimo dal 2009. Mentre la Bank of Japan operava un buyback obbligazionario da 20,1 miliardi di yen a fronte di competitive bids per 48,1 miliardi di yen: -0,060 yen lo spread accettato. Il massimo. Tic toc. E ora puntano a un nuovo azzardo sui tassi.
Ma il game changer è in quel tweet. Le carte sono apparentemente sul tavolo. Ora occorre capire chi bluffa e chi no. Perché una politica di tariffe con Nvidia che vede tagliati già ora gli ordini di Blackwell GB200 potrebbe urtare la suscettibilità di Wall Street. E il fatto che proprio il Ceo del colosso AI che da solo sta reggendo un rally senza precedenti sia l’unico dei grandi nomi del tech a disertare la cerimonia di insediamento di Donald Trump forse vorrà dire qualcosa.
Apparentemente, tutto sembra procedere lungo binari di transizione senza scossoni. Un intero rally post-5 novembre è andato bruciato. Ma la percezione fra la gente e nei titoli dei mass media non è certo quella di timore. O di allarme. Per adesso, il giochino continua a funzionare. Ma attenzione a quel game changer.
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