In giro per il mondo si corre a costruire armi e pensare alle guerre. E tutto per una sola ragione: il debito
Woody Allen diceva che la guerra è il modo in cui l’America studia la geografia. Giovedì Donald Trump ha dichiarato che deciderà se attaccare o meno l’Iran entro due settimane. Con comodo. Esercizio di stile, appunto. Probabilmente vorrà controllare l’andamento parlamentare del suo Big Beautiful Bill. O l’iter del dibattito al Congresso sul debt ceiling. O la traiettoria dei rendimenti obbligazionari. Poi deciderà.
Siamo alla versione bellica del Taco trade. Stessa logica dei dazi. Annuncio. Smentita. Rinvio. Ripetere da capo. Se necessario, aumentare la dose. Come con gli antidolorifici. Ma è tutto il mondo ormai a essere impazzito. Causa debito. Pensavate che quando Friedrich Merz ha parlato di Israele come Paese che sta facendo il lavoro sporco per noi, stesse soltanto provocando?
Date un’occhiata qui. Nella Germania che fu gigante macro ora in sprofondo ma con il Dax ancora alle stelle, questo è realtà. Non a caso, prima ancora che l’emergenza sbarcasse in Medio Oriente, è stata la minaccia russa a garantire la nascita di un Governo di coalizione senza legittimazione popolare e il via libera a tempo di record di un pacchetto di aiuti statali senza precedenti dalla Riunificazione. Sul quale nessuno ha avuto da ridire. Commissione Ue in testa.
Ora, il grande reset. Anzi, la grande conversione. Dove un tempo c’era l’auto, ora c’è il tank. E occorre correre. Sfruttare il momento. E se poi non si farà la guerra, cosa ci faremo con i carri armati? Dovendo costruirne sempre di più in ossequio al moltiplicatore bellico del Pil, verranno venduti ai medesimi Paesi ed eserciti che oggi additiamo come male assoluto. Per costruirne di nuovi. O magari finiranno in Africa, esattamente come nello strepitoso Finché c’è guerra, c’è speranza con Alberto Sordi. Tutto per una sola ragione: il debito. Un mondo creato sul debito. Un mercato basato sul debito. Una falsa ricchezza che si perpetua e moltiplica grazie al debito.
Non a caso, le già annacquate regole prudenziali post-Lehman, ora stanno letteralmente sparendo. Prima il Covid, poi i dazi, ora il rischio geopolitico permanente. Altro deficit. Altro debito. Di banche. Di Stati. Di aziende. Poco cambia. Sullo sfondo, l’oro. Quasi un monito. Un omen. La reliquia barbarica di cui parlava Keynes pare volerci dire che il suo ritorno in auge è perfettamente sincrono con l’imbarbarimento del mondo.
Deciderò se attaccare o no l’Iran entro due settimane. Come si decide fra mare o montagna. Tutt’intorno, razzi e missili. Per la gioia del Pil. E delle manovre di manipolazione che necessitano quel grado di discrezione che solo la paura permanente sa garantire. Fear is your only God cantavano i Rage Against The Machine. La paura è il tuo unico Dio. E il mondo intero si è fatto Chiesa. Capite perché avere un’informazione il più possibile libera da condizionamenti diretti e da editori di ventura oggi sia fondamentale?
Io non sono un analista militare, né di intelligence. Per questo finora mi sono guardato bene dal commentare in tal senso quanto sta accadendo in Medio Oriente. Mi sono limitato a descrivere quanto viene schermato, nascosto e giustificato da quegli eventi a livello finanziario e di mercato. Mi permetto una digressione. Proprio alla luce di quanto dibattuto finora, ovvero quanto emerso dal Consiglio di difesa Usa e poi differito nel tempo dall’ennesima capriola del Presidente. Ovvero, l’entrata diretta degli Stati Uniti nel conflitto al fianco di Israele.
Se accadesse, quasi certamente Washington giocherà la carta di replica di quanto fatto nel 2017 in Afghanistan con la bomba Moab contro l’Isis: chiudere i conti in tempi rapidissimi con il regime iraniano attraverso la sua preponderante superiorità bellica. One-off devastante. Ciò che mi spaventa di fronte a questa ipotesi è il contesto in cui va a inserirsi. Come spiega questo articolo, dallo scorso 16 giugno e fino al 27 prossimo in Finlandia si tengono esercitazioni di jet Nato appartenenti a Stati Uniti, Regno Unito, Francia e appunto Finlandia.
Atlantic Trident 25 il nome della simulazione di combattimento aereo. Il tutto al confine con la Russia. E dopo due attacchi ucraini nell’enclave di Kaliningrad avvenuti solamente una settimana fa e che hanno visto gli 007 di Kiev sabotare e incendiare una struttura militare russa. Tutto da soli, vista la location?
Nonostante i toni addirittura a tratti concilianti di Donald Trump, il quale addirittura per un istante avrebbe provocatoriamente pensato a Vladimir Putin come mediatore fra Tel Aviv e Teheran, il rischio che in quella zuppa di F15, F18, F35, Typhoons Eurofighter da un lato e Mig e Sukhoi dall’altra, qualcuno si faccia prendere la mano dalla provocazione, c’è. Ed è alto. Soprattutto se qualcuno cercasse il casus belli.
Si è parlato tanto di un’operazione false flag nel Golfo per spingere gli Usa a una risposta stile Pearl Harbor contro Teheran. Dio non voglia che invece Kaliningrad sia stata la prova generale per quel tipo di guerra asimmetrica, pronta a sbucare fuori dal nulla per l’ennesima volta. Sfruttando l’effetto sorpresa.
Fine della digressione. Tornerò a occuparmi di ciò che mi compete. Ofelè fa el to mesté, si dice nella mia natia città. E di tuttologi ne vedo in giro già abbastanza.
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