Occorre prestare attenzione a quello che sta avvenendo in Giappone, non solo sul fronte politico, ma anche monetario
Attenzione al Giappone. Attenzione allo yen, soprattutto. Sabato scorso, infatti, l’assise del partito di governo giapponese Ldp ha scelto come leader la prima donna nella storia della formazione politica, la deputata Sanae Takaichi. Nome che chiaramente dice poco al di fuori dei confini nipponici e che sulla stampa internazionale ha suscitato interesse unicamente perché legato alla tematica gender. Ma che in questo preciso contesto finanziario invia un segnale ai mercati che occorre non sottovalutare.
La Takaichi non è solo una conservatrice in materia di tematiche sociali, ma è da sempre sostenitrice di un’aggressiva spesa pubblica e la sua ricetta per il sostegno dell’economia passa dall’utilizzo strutturale di misure espansive come l’helicopter money e il ricorso al deficit. Prepariamoci quindi a una duplice reazione. Una da parte del Nikkei, il quale quasi certamente conoscerà nuovi massimi a fronte di una simile prospettiva di politica economica e monetaria all’orizzonte, stante la strettissima connessione che vige in Giappone fra potere politico e Banca centrale. E che la candidata Premier ha immediatamente rivendicato nel giorno della proclamazione, annunciando un lavoro in coordinamento con la Banca centrale.
Detto fatto, la prima seduta dopo l’elezione ha visto l’indice nipponico chiudere a +5% e al nuovo massimo storico. Di fatto, telegrafato. Differente, però, potrebbe essere la reazione dell’obbligazionario e, appunto, dello yen nel suo cruciale cambio con il dollaro. E anche in questo caso, tutto come da copione.
Sempre ieri, infatti, in contemporanea con gli unicorni da Qe perenne delle equities, rendimento del titolo a 40 anni che volava al record storico di 3,52% (+14 punti base intraday), quello del bond a 30 anni addirittura protagonista di una 3-sigma move al 3,287% e yen che volava a 150,1 sul dollaro e al suo minimo storico sull’euro. La crisi 2.0 del carry trade che si stava sostanziando lo scorso agosto è stata quindi solo rinviata e non evitata del tutto?
I pareri al riguardo appaiono abbastanza concordanti: in caso Sanae Takaichi non cambi drasticamente la sua impostazione di politica economica, i rischi salgono. E in un contesto decisamente pericoloso.
La seconda variabile nipponica con cui fare i conti ha infatti anch’essa scadenza a breve termine. Per l’esattezza il 30 ottobre, giorno in cui la Bank of Japan comunicherà la sua decisione sui tassi di interesse. Con il forte rischio, quantomeno in base alle prime prezzature di mercato già all’opera dopo alcune uscite del Governatore in tal senso, di un nuovo rialzo. Allacciate le cinture del carry trade, quindi. Perché fu proprio la mossa restrittiva in fatto di politica monetaria a scatenare lo smobilizzo di massa iniziato overnight e senza preavviso il 5 agosto 2024.
Questo grafico rappresenta lo spoiler di questa aspettativa da polsi tremebondi. Martedì scorso l’asta del titolo a 2 anni ha visto la domanda scendere al minimo dal 2009 e il rendimento superare lo 0,95%, massimo dal 2008. In contemporanea, il premio di rischio del decennale toccava 1,64%. Ovvero, area da record storico del luglio 2008.

Perché questo deve far preoccupare? Primo, il placebo implicito della garanzia sulle swap lines in dollari telegrafato dal taglio dei tassi Fed pare aver già esaurito il suo effetto. Secondo e decisamente più serio in vista di quel potenziale rialzo dei tassi di fine mese, ciò che ci mostrano questi altri due grafici.


A fronte di un Nikkei 225 che appunto volava a +5% sulle ali dell’entusiasmo per il più che probabile approdo alla guida del prossimo Governo di una fautrice della stamperia Lo Turco di provata fede e militanza, l’indice bancario nipponico mostrava segnali di una netta, ennesima battuta d’arresto. Talmente netta da rendere ancora più in modalità déjà vu il suo trend rispetto a quanto accadde in aprile, il mese della correzione. E del grande spavento globale. E quel -2,5% si sostanziava a un’ora e mezza dalla chiusura delle contrattazioni, quando l’indice principale già veleggiava su +4,6%. Casualmente, chiusura in pressoché parità.
Qualcuno ha deciso che occorreva comprare titoli bancari. Che occorreva evitare un’eccessiva discrepanza fra benchmark e sottoindice. Il motivo? Lo mostra appunto il secondo grafico. L’andamento del Topix è andato di pari passo con la crescita del rendimento del titolo nipponico a 30 anni, di fatto la clamorosa dimostrazione della distopia di mercato in cui stiamo vivendo. Perché le stesse banche giapponesi che da aprile a oggi hanno conosciuto un rally da El Dorado sono stracariche di quei titoli di Stato, il cui valore è inversamente proporzionale al rendimento pagato.
Di fatto, quegli istituti hanno in pancia una bomba a orologeria da modello di VaR alla deriva. Un Titanic da mark-to-market. Una Nagasaki di carta. Che stava cominciando a ticchettare. Poi, ecco saltar fuori dal cilindro la candidatura politica in modalità Clark Kent che entra nella cabina telefonica ed esce in versione Superman, la promessa di un rinnovato periodo di stampa allegra e soprattutto controllo sulla curva dei redimenti. Quest’ultimo palesemente già attivo sulla scadenza a 10 anni, l’unica che ieri mattina non ha fatto nemmeno un plissé, restando pressoché immutata nei rendimenti, mentre quelli a lunga maturity esplodevano.
Ma se per caso il 30 ottobre la Bank of Japan sarà obbligata ad alzare i tassi, meglio essere già sulle scialuppe. E non sottocoperta. Lo yen e il suo cambio con il dollaro, nemmeno a dirlo, rimangono il canarino nella miniera cui prestare l’orecchio. Sopra 152, occorre intervenire. E partono i tremori. Quelli che sentono anche i sordi.
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