Si è parlato molto delle performance borsistiche di Oracle, ma non ci si è soffermati sui numeri comunicati dall'azienda
Stampatevi questo articolo. O salvatelo su computer. Perché trattasi di iconoclastia allo stato puro. Ma, state certi, fra qualche tempo entrerà di diritto nella categoria del ve lo avevo detto. Quando tutt’intorno respireremo un’atmosfera da 2000. Inteso come anno. Inteso come bolla tech. Intesa, in questo caso, all’ennesima potenza.
La notizia del giorno è la detronizzazione da parte del patron di Oracle, Larry Ellison, nei confronti di Elon Musk dal podio di uomo più ricco del mondo. Il tutto in 24 ore. Sufficienti al titolo del colosso texano del cloud di passare da un market cap di 678 miliardi a uno di 943 miliardi grazie a un +40% in Borsa.
Fin qui, cronaca che trovate ovunque. E grancasse AI che girano impazzite come a una fiera di paese, quando il vino comincia a generare effetti di massa. Ora vi spiego cosa c’è sotto il fenomeno Oracle. Che, di fatto, mostra a sua volta l’intera impalcatura della chimera tech/AI. Quantomeno a livello finanziario, cioè l’ambito che mi compete.
La narrativa ufficiale parla di conti trimestrali da urlo per Oracle che martedì sera dopo la chiusura di Wall Street hanno mostrato al mercato due dati. Il primo, totalmente ignorato: cifre alla mano, Oracle non aveva affatto ottenuto le earnings attese.
Secondo, in grado di generare l’esplosione del titolo, nuovi contratti legati all’intelligenza artificiale solo con tre clienti ma che mostravano come da qui ai prossimi quattro anni Oracle avrebbe visto le proprie revenues montare come panna in una pasticceria. Addirittura con un backlog di ordini (di fatto, prenotazioni) salito a 455 miliardi di dollari. Ovvero, un aumento su base annua del 359%. Annua.
Queste poche righe hanno generato quel balzo di market cap: …we expect Oracle Cloud Infrastructure revenue to grow 77% to $18B this fiscal year—and then increase to $32B, $73B, $114B, and $144B over the subsequent four years. Most of the revenue in this 5-year forecast is already booked in our reported RPO. E te lo dicono chiaro e tondo, molto onestamente. Nei conti finanziari presentati oggi sono già incorporati i tassi di crescita lisergici attesi e facenti capo a contratti dati per certi. In gergo finanziario si parla di contracted but not yet recognized revenue.
Ad aggiungere nitroglicerina alla performance da +23% del titolo e portare l’aumento intraday quasi a +40%, la notizia della firma di un contratto fra la stessa Oracle e OpenAI sul cloud computing. Un contratto da 300 miliardi. E in tutto questo, ecco che anche Nvidia – il totem equity dell’AI con i suoi 4,4 trilioni di market cap – decide di unirsi alla festa, registrando anch’essa un aumento a doppia cifra che si è sostanziato in 200 miliardi di aumento di market cap. Per quale ragione? Un contratto con Oracle, ovviamente. E basato su cosa? La vendita di GPU. Salvo poi rinoleggiarle dalla stessa Oracle!!!
Perché signori, quando parliamo di Oracle, occorrerebbe ricordare cosa l’azienda texana avesse fatto solo 24 ore prima di presentare i suoi conti a 5 anni, contabilizzandoli come fossero attuali e basati su reali numeri di vendita e di utile e non – come sono in realtà – mere previsioni prospettiche. Tutte in sfumature acceso di rosa. Ovvero, licenziare 3.000 dipendenti in tutto il mondo attraverso un call di 20 minuti. Il giorno prima!
Parliamo infatti della stessa Oracle i cui numeri reali (big miss, infatti si sparano supercazzole sui prossimi 5 anni) dipendono, di fatto, dalla capacità di OpenAI di continuare a raccogliere finanziamenti sul mercato. E di Nvidia vendere GPU che poi si fa riprestare a pagamento. Chiamasi partita di giro. Il povero Fausto Tonna venne messo in croce per molto meno. I colossi dell’AI portati in trionfo come semidei.
Ora, lasciate che vi spieghi come stavano le cose fino all’apertura di Wall Street di lunedì scorso. Quindi non più tardi di 5 giorni fa. Giorni e non mese. E poi ditemi se non ci troviamo di fronte a un caso classico di puntini da unire. Per la prima volta dalla correzione dello scorso aprile, il titolo di Nvidia aveva registrato quattro settimane di rosso consecutive. E guarda caso, anche all’epoca, la quinta settimana fu quella di inizio riscossa con un +15% sulla chiusura precedente. Poi, soltanto verde a perdita d’occhio.
E si sa, forte dei suoi 4,4 trilioni di capitalizzazione e del conseguente ruolo di spina dorsale della spina dorsale equity (le Mag7), il titolo dell’AI per antonomasia non può lasciare nessuno indifferente riguardo la sua price action. E negli ultimi giorni, qualcosa si è mossa sotto il pelo dell’acqua. Come i cavi di Azure tranciati nel Mar Rosso il 6 settembre scorso, casualmente nel pieno di scosse geopolitiche di natura tellurica. Siamo alla tettonica a placche del potere reale.
La giornata del 5 settembre, quella precedente all’incidente denunciato a Microsoft e che ha mandato a zampe all’aria l’operatività del suo cloud, potrebbe infatti passare alla storia come quella del grande azzardo nel comparto AI. Vincente o perdente, questo è il dilemma. Donald Trump, infatti, sentenziava: OpenAI ha un mercato infinito. Proprio a poche ore dalla notizia in base alla quale la medesima azienda annunciava l’inizio di produzione su larga scala di propri chip in collaborazione con Broadcom.
Il problema? Che sempre in contemporanea, Nvidia rendeva nota l’intenzione di noleggiare i propri chip da Lambda per un periodo di quattro anni e con investimento da 1,5 miliardi di dollari. Revenue roundtripping. Ovvero, l’ennesimo gioco contabile per gonfiare cifre relative alle revenues in sostituzione dello stop all’export cinese, alibi venuto meno dopo l’ultima trimestrale?
Contabilizzare quella cifra sotto una voce di bilancio che imbelletti l’insieme, però, rischiava di non essere più sufficiente. Da subito. E tutto si può fare in contesto simile, tranne che sanguinare in una vasca di squali. Ovvero, mostrarsi preoccupati agli occhi del mercato. Ma la realtà disvelata dall’annuncio di OpenAI relativo ai chip di propria fabbricazione rappresenta proprio la piscina in cui è vietato sanguinare, poiché giungeva buona ultima di una serie di simili comunicazioni da parte di altri players del comparto.
Insomma, se Amazon, Google, Alibaba, Meta, Microsoft, xAI e ora OpenAI si costruiscono i chip da soli, chi comprerà quelli di Nvidia? Perché se le tue revenues in continua crescita sono giustificate a loro volta dalla domanda in continua crescita e pressoché dipinta dalle cifre e dagli outlook come inesauribile, perché tagli le forniture prepagate e gli accordi legati alla capacity?
E al dilemma esiziale di Nvidia, ora si univa proprio quello di OpenAI. E anche in questo caso, come testimoniato dalle parole di Donald Trump, la chiave del successo sta tutta nella percezione di infinitezza della domanda.
Il problema in questo caso? Lo mostrano queste due immagini: se la domanda di OpenAI è infinita, perché entro il 2027 è previsto addirittura un cash flow negativo?
Ovvero, la liquidità reale generata o consumata da un’impresa e che indica la sua capacità di far fronte a voci come spese operative e investimenti. E ai debiti. Insomma, la spia del carburante. E il recente passato ci mostra un precedente decisamente poco edificante di cash flow incapace di stare al passo con le perdite, il caso WeWork, azienda leader degli spazi di co-working fallita nel novembre 2023.
Ora, unite i puntini. Se la situazione di OpenAI è questa, perché il mercato dovrebbe festeggiare l’accordo da 300 miliardi con Oracle, visto che trattasi di un accordo basato su soldi che OpenAI non ha ma, sicuramente, contabilizzerà come già in cassa? Esattamente come le earnings di Oracle. A 5 anni.
Quelle attuali non sono state raggiunte. Ma poco importa, +40% in 36 ore sulla fiducia. E sapete perché? Perché stante il livello too big to fail ma anche to bail della bolla su cui poggia il settore tech/AI, Wall Street non può permettersi un epilogo in stile WeWork per OpenAI, ad esempio. E al netto di salvataggi di Stato. Perché Wall Street non può gestire lo sgonfiamento disordinato di una bolla che finora ha vissuto di una rendita legata a cifre che oggi si scontrano con una realtà decisamente meno prona all’accettazione passiva.
E quest’ultimo grafico mostra l’ulteriore segnale di allarme cui è necessario prestare attenzione. Il mercato azionario cinese è ben lungi dall’essere sui massimi storici, a differenza di pressoché tutti gli indici globali.
Perché allora, la scorsa settimana le autorità di Pechino sono intervenute con una serie di restrizioni draconiane apparentemente intenzionate a stroncare sul nascere il rally da 1,2 trilioni di dollari di capitalizzazione iniziato nel mese di agosto e che ha visto come prima vittima proprio la Nvidia cinese, Cambricon, sprofondata di un -15% overnight alla notizia della nuova regolamentazione?
Capito perché in questo contesto da Re nudo che nessuno vi racconta, casualmente Oracle salta fuori con numeri totalmente infondati, ma che gli algoritmi prendono come oro colato, scacciando settimane di cattivi pensieri e calcoli troppo severi con la realtà? Attenzione, quindi a ciò che luccica troppo. E mi raccomando, stampate o salvate questo articolo. Il tempo è spesso galantuomo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.