Dal Forum di Sintra sono arrivate indicazioni interessanti circa le priorità delle Banche centrali in questa fase
I banchieri centrali delle principali economie mondiali ieri si sono incontrati a Sintra, in Portogallo, per un dibattito in cui si sono toccati molti dei nodi economici di questi mesi dai dazi, ai tassi passando per le attese sui prezzi.
L’incertezza sulle prospettive economiche, come accade ormai da mesi, ha dominato il dibattito dei banchieri centrali; i dazi americani e i limiti imposti dalla Cina alle esportazioni, per esempio di magneti e terre rare, dipingono uno scenario di rottura delle catene di fornitura e di decoupling i cui effetti sono difficili da stimare. Questo è solo uno degli elementi di incertezza con cui i banchieri centrali devono fare i conti. Jerome Powell, Presidente della Fed, ha probabilmente il compito più difficile di tutti e da mesi è alle prese con le critiche del suo Presidente.
Per Trump, Powell è colpevole di non aver tagliato i tassi e di ostinarsi a non farlo anche con l’inflazione che scende. Il Presidente della Fed ieri ha replicato dicendo tre cose. La prima è che si aspetta un aumento dell’inflazione questa estate come conseguenza dei dazi, la seconda è che l’introduzione dei dazi ha messo la Banca centrale in attesa e quindi impedito tagli dei tassi e la terza è che il deficit americano è “insostenibile”.
Queste dichiarazioni sono destinate a rinfocolare le polemiche. Il taglio dei tassi auspicato da Trump non arriva, secondo Powell, proprio a causa dei dazi; il Presidente sarà responsabile anche di un possibile aumento dei prezzi e, infine, Trump mantiene gli Stati Uniti su una traiettoria fiscale insostenibile. Questo ultimo punto è in realtà una costante nel dibattito americano; negli ultimi anni i principali protagonisti del sistema bancario e finanziario d’oltreoceano hanno espresso la stessa identica analisi.
Anche Janet Yellen, segretario del Tesoro nell’Amministrazione Biden, poco settimane prima della fine del suo mandato, aveva espresso il proprio rammarico per non aver fatto di più per ridurre il deficit. È comunque degno di nota che il Presidente in carica della Fed si faccia carico di esplicitare questi timori.
Il rendimento del decennale americano rimane vicino ai massimi degli ultimi vent’anni e il dollaro ha avuto uno dei peggiori trimestri di sempre. Se Trump venisse accontentato da Powell o se il suo sostituto avesse un approccio più accomodante sarebbe difficile evitare un peggioramento. Il Presidente della Fed oggi rimane una garanzia per i risparmiatori contro il rischio che gli Stati Uniti possano scivolare su un sentiero ancora più insostenibile.
In Europa invece il dibattito è completamente diverso sia per un deficit più contenuto, sia perché l’episodio inflattivo del 2022/2023 è stato minore di quello americano. Christine Lagarde, Presidente della Bce, ha confermato che la Banca centrale sta lavorando intensamente per la creazione dell’euro digitale perché la privatizzazione della moneta rischia di compromettere l’efficacia della politica monetaria e di indebolire la sovranità dei Governi. Christine Lagarde ha comunque precisato che la banca sta aspettando la luce verde dal Parlamento europeo.
Effettivamente la questione, a differenza di quanto si dice nel dibattito che la riguarda, è tutta politica. Non si tratta semplicemente di un’evoluzione tecnica che rende la vita più facile alle famiglie e alle imprese. Gli Stati Uniti si rifiutano di seguire l’Europa su questa strada proprio per le implicazioni politiche di una moneta digitale.
Lo scenario è incerto, gli Stati spendono di più, per esempio per la difesa, e i rischi sui prezzi sono al rialzo nel lungo termine. In questo scenario gli investitori si chiedono quali saranno le priorità tra stabilita dei prezzi e stabilità finanziaria. Gli incentivi a uscire dal sistema verso monete private diventano in qualche modo inevitabili.
L’euro digitale assicura che la trasmissione della politica monetaria rimanga efficace e questo è forse ciò che rende il Parlamento europeo titubante. L’efficacia della politica monetaria probabilmente non è così desiderabile dai risparmiatori se l’obiettivo fosse, per esempio, quello di comprimere la remunerazione dei risparmi sotto il livello dell’inflazione.
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