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Home » Economia e Finanza » Economia UE » Bce & Euro » SPY FINANZA/ Le minacce nascoste dal calo artificiale dello spread

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SPY FINANZA/ Le minacce nascoste dal calo artificiale dello spread

Mauro Bottarelli
Pubblicato 7 Ottobre 2020
bce acquisto titoli spread

La sede della Bce a Francoforte (LaPresse)

Il nostro spread è sceso ancora grazie all'azione della Bce, ma è bene non illudersi, ci sono almeno tre cose da temere

I ministri delle Finanze della zona euro hanno scelto l’olandese Frank Elderson, direttore generale della Banca centrale de L’Aja, come successore nel Comitato esecutivo della Bce di Yves Mersch, il cui mandato terminerà il 15 dicembre. Un falco per un falco, insomma. Sintomo chiaro e segnale lampante che Christine Lagarde ha dovuto cedere alle montanti pressioni dei Paesi del Nord, capitanati dalla Germania. E cosa otterrà in cambio? Forse la possibilità di aumentare il controvalore di acquisti di altri 400 miliardi di euro, ipotesi che circola sui mercati da qualche giorno, in modalità chiaramente auto-avverante? Difficile. Perché ormai siamo all’equilibrismo per evitare di rendere palese una frattura che è nei fatti. E nelle cifre.


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Per capire meglio cosa ci attende, partiamo da questi due grafici, appena pubblicati dalla Bce e relativi agli acquisti in seno al Pepp per il mese di settembre. Il primo ci mostra il grado di deviazione “storica” dalla capital key per emittente dall’inizio del programma di contrasto alla pandemia e, come noterete, in questa versione viene evidenziato il trend dei nostri titoli di Stato. Dopo mesi di acquisti pari al 21,6% del totale a fronte di una capital key statutaria che per il nostro Paese è del 17%, nell’ultimo mese la dinamica si è normalizzata, fermandosi al 18%, poco sopra la soglia. In totale, fra agosto e settembre, la Bce ha acquistato debito italiano per un controvalore di 26,8 miliardi di euro.


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Il secondo grafico invece mostra la dinamica relativa solo al mese di settembre a livello di deviazione generale e, come noterete, i principali beneficiari sono stati anche i Paesi maggiormente colpiti dalla seconda ondata di pandemia, ovvero Francia e Spagna. Quest’ultima, fra agosto e settembre, ha visto la Banca centrale acquistare suoi Bonos per 18,7 miliardi di controvalore.

Insomma, cosa ci dicono queste cifre? Nulla di buono. Paradossalmente, leggendo i giornali di ieri la percezione appariva contraria, stante la discesa senza precedenti del rendimento del nostro decennale. Ed ecco, infatti, che questo altro grafico mostra il trend di re-couple dei nostri Btp rispetto ai Bonos spagnoli pari durata: lunedì 5 ottobre, il differenziale fra i due titoli ha toccato il livello minimo dal 2018, “solo” 54 punti base.


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Cosa temere, quindi? Parecchie cose, tre su tutte. Primo, nonostante quanto messo in campo dalla Bce a livello di acquisti e della Commissione Ue a livello di Recovery fund (almeno ufficialmente), il nostro spread rimane comunque più ampio di quello di un Paese come la Spagna, la quale non solo presenta i peggiori dati macro in assoluto dell’Unione, ma ha visto il proprio outlook già tagliato da Standard&Poor’s e pare destinata a un nuovo lockdown generale, dopo quelli selettivi già scattati la scorsa settimana. Non a caso, la Bce ha concentrato molto i suoi acquisti sui titoli spagnoli durante agosto e settembre, sintomo che si temeva una sindrome da 2011 che questa volta irradiasse a livello sovrano da Madrid e non da Roma.

E veniamo al secondo punto critico. Il Pepp, di fatto, nell’ultimo mese ha subito un silenzioso ma fattuale processo di morphing, tramutandosi in un Qe tout court. Gli acquisti di debito sovrano hanno infatti rappresentato la pressoché totalità degli interventi diretti della Bce sul mercato secondario, visto che nel bimestre preso in esame è stato acquistato un controvalore pressoché residuale di bond corporate, solo 2,7 miliardi (2,1% del totale). Addirittura, le commercial papers hanno segnato redemptions per 2,8 miliardi. C’è quindi un problema: la Bce sta calibrando ancora e sempre di più la sua azione pressoché unicamente sulla compressione artificiale degli spread. Attività che è palesemente in contrasto con il mandato statutario del Qe e che è stata, non a caso, materia del contendere nel braccio di ferro primaverile fra Eurotower e Corte costituzionale tedesca. Come reagirà la Bundesbank a un trend che possa proseguire su questi binari fino alla fine dell’anno, stante i montanti rischi di nuovi lockdown e il mandato decisionale conferitole in tal senso proprio dai giudici di Karlsruhe? La scelta di Frank Elderson per il board pare quindi un primo pegno che Christine Lagarde, la quale puntava tutto su un ingresso in rosa in nome della nuova politica gender, ha dovuto pagare alla Bundesbank, al fine quantomeno di veder rimandata una resa dei conti in piena regola.

Il terzo punto critico e da tenere in considerazione per le settimane a venire fa riferimento a quanto rappresentato in questo ultimo grafico, il quale mostra come un eventuale aumento degli acquisti obbligazionari da parte delle Bce in combinato con le minori emissioni previste dal Tesoro tedesco e l’aumento della richiesta di beni rifugio in caso di acutizzazione della seconda ondata di pandemia in Europa, potrebbe spedire il rendimento del Bund a 10 anni al -0,6% da qui a fine anno.

L’effetto divaricazione unito a una possibile prezzatura reale del rischio Paese italiano, in caso di nuovi lockdown anche solo parziali nel nostro Paese, dove potrebbe spedire il nostro spread, al netto del backstop dell’Eurotower ormai rientrato nel range storico del 17% di acquisto sul totale? Se la situazione cortocircuitasse, l’Eurotower potrebbe aumentare in maniera significativa gli acquisti di Btp e Bonos, al fine di evitare pericolosi scossoni sui conti dei Paesi più sensibili dell’eurozona? E se lo farà, sarà la Francia con i suoi Oat a farne le spese, tornando in deviazione negativa proprio mentre il Paese fatica a contenere focolai e continuo ricorso al deficit spending (con una ratio debito/Pil già oggi al 114%)?

Non fatevi abbindolare dai titoli rassicuranti di giornali e tg, la situazione reale dell’eurozona è distante anni luce da quella rappresentata dagli spread. E non dimentichiamo il fatto che il Governo italiano sta lavorando a una Manovra 2021 in modalità di normalizzazione post-lockdown, avendo infatti “limitato” l’intervento a 40 miliardi. Basteranno davvero o il Covid manderà a zampe all’aria le previsioni ottimistiche di Gualtieri e soci? Ma, soprattutto, assumendo che quella cifra sia sufficiente e che la seconda ondata ci risparmi mosse draconiane come quelle già in atto parzialmente in Francia e Spagna, siamo sicuri di poter contabilizzare con animo leggero e approccio ex ante la metà di quell’ammontare come coperto e garantito da fondi Ue? La guerra intestina, per ora ancora sottotraccia e da addetti ai lavori, in seno alla Bce, siamo certi che non riverbererà ancora con maggior durezza e conseguenze più drastiche sul cammino del piano Next Generation Eu? Sulla governance di quei fondi, di fatto, i Paesi frugali hanno appena messo a segno un altro punto a loro favore, garantendosi una più stretta vigilanza rispetto alla destinazione d’uso degli stessi come precondizione per l’esborso.

Sicuri che lo spread garantitoci unicamente dagli acquisti Bce non ci stia dando alla testa, questa volta per eccesso di ottimismo? Meglio fermarsi e valutare bene tutti i pro e i contro, perché dopo la batosta della scorsa primavera una ricaduta potrebbe rivelarsi fatale.


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