La Cina rallenta. Rallenta ancora. E invia segnali che dovrebbero far riflettere, stante le pressioni inflazionistiche in atto. I dati macro appena pubblicati parlano chiaro, il Paese sta scontando una pausa forzata dopo la corsa post-pandemia della prima ondata. Resta da capire quanto ci sia di calcolato e strategico e quanto di potenzialmente contagioso per sistemi economici meno attrezzati di quello cinese nel reagire prontamente alle emergenze, leggi l’Europa. Per due motivi. Primo, l’Ue non può operare come Pechino a livello di intervento statale sulle libertà dei cittadini. Quantomeno, non ancora. Ma si sta attrezzando. Secondo, la Bce è già a zero con i tassi e con l’inflazione in overshooting: se pensa di passare in negativo per operare nuovo stimolo, allora Weimar 2.0 rischia davvero di essere dietro l’angolo.
Veniamo ai numeri. Come mostra il grafico, il fondamentale impulso creditizio del Dragone ha rallentato al tasso più drastico di calo dall’aprile del 2011. Tradotto, al netto delle ultime, emergenziali iniezioni di liquidità per tamponare il fall-out di Evergrande sull’intero comparto immobiliare, la Banca centrale cinese sta seguendo le indicazioni di Xi Jinping: operare per uno sgonfiamento della bolla creditizia espansa a dismisura nello scorso decennio, limitandosi a interventi mirati o tagli dei requisiti di riserva bancari nei momenti di particolare stress sulla liquidità. Vedi, chiusura de trimestri o scadenze obbligazionarie di massa, il cosiddetto wall of maturities.
A ottobre, la produzione industriale è cresciuta su base annua del 10,9%, battendo il consensus del 10,8%, ma è nettamente calata dall’11,8% di settembre. Le vendite al dettaglio, idem: +14,9% su base annua contro attese del +14,7%, ma in calo dal +16,4% di settembre. Peggio ancora gli investimenti in assets fissi, cresciuti solo del 6,1% contro aspettative del 6,5% e in netta contrazione dal +7,3% di settembre. Nemmeno a dirlo, male gli investimenti immobiliari: +7,2% contro il consensus del +7,8% e in sofferenza rispetto al +8,8% del mese precedente. Insomma, debolezza across the board. In tutte le sue componenti.
E cosa ci dice questo quadro? Ce lo mostra in primis questo grafico, dal quale si evince come le serie storiche stiano lanciando un omen sul dato degli ordinativi industriali tedeschi, solitamente in scia con tre mesi di ritardo rispetto alle dinamiche dell’impulso creditizio cinese: da qui all’inizio del 2022, Berlino potrebbe patire il devastante combinato di quarta ondata e rallentamento strutturale dell’export.
Ma non basta. Perché quest’altro grafico mostra come la percezione esterna di quanto stia accedendo in Cina a livello di risposta ai nuovi focolai di Covid sia sideralmente distante dalla realtà. Stando a dati elaborati di Airportia, infatti, il traffico aereo del Dragone non solo è in continua contrazione, ma già oggi su base annua segna un -50% e viaggia ben al di sotto della media del 2020.
Cosa significa? Che per quanto la notizia non appaia sui giornali, le restrizioni già poste in essere a livello di spostamenti sono a dir poco draconiane. Quindi, duplice epilogo possibile: o una rapida risoluzione del problema, dovuta appunto alla durezza delle misure messe in campo, o il rischio di un perdurare del rallentamento in atto almeno fino al primo trimestre 2022. Sperando che la situazione non peggiori, arrivando a un periodo – anche limitato – di blocco totale delle attività sistemiche per il commercio, come l’operatività dei terminal portuali.
Sarà per questo che, alla fine, la COP26 si è chiusa con un sostanziale fallimento? L’India, in cambio di non si sa quale favore, ha accettato di tramutarsi nel capro espiatorio della situazione, al fine di evitare prezzature estreme del mercato rispetto a decisioni troppo ultimative e ideologiche sulle fonti fossili in un momento di inflazione energetica e rallentamento macro?
E attenzione alle mosse che l’Europa compirà anche sul quadrante geopolitico, nella fattispecie la montante tensione sul confine tra Polonia e Bielorussia e su quello fra Russia e Ucraina, dove Kiev denuncia la presenza di 100.000 soldati di Mosca. Se infatti il Cremlino ha invitato Minsk a non minacciare le forniture di gas all’Europa, proprio ora che Gazprom ha realmente cominciato l’aumento dei flussi verso Mallnow e gli altri hub per rimpinguare le esangui riserve europee, questo grafico ci mostra come la tempesta immigrazionista perfetta potrebbe essere alle porte: nel silenzio generale, la lira turca ha appena tagliato per la prima volta in assoluto il traguardo negativo di quota 10.00 nel cambio con il dollaro. Tradotto, iper-inflazione ufficialmente alle porte di Ankara, dopo che Recep Erdogan pare aver fatto di tutto per stimolarla, fra licenziamenti seriali di governatori della Banca centrale che non tagliassero i tassi e messa fuorilegge delle transazioni in criptovalute.
Prepariamoci come UE a un ritorno in grande stile del ricatto turco sulla rotta balcanica, il quale andrebbe potenzialmente a saldarsi con quello in atto sul confine polacco: nel pieno di una quarta ondata di pandemia che in Olanda ha già portato un nuovo lockdown e con un’economia in fase di rallentamento che ancora deve scontare i pessimi dati cinesi appena pubblicati, operando a specchio con tre-sei mesi di ritardo.
Da qui a fine anno, l’Europa si gioca molto. Quasi tutto. Forse, la sua stessa tenuta nell’attuale assetto. In maniera ancor più seria e drammatica di quanto avvenne nel 2011.
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