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Home » Lavoro » Sindacati » STELLANTIS/ La mancanza di strategie Ue sull’automotive frena industria e lavoro

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STELLANTIS/ La mancanza di strategie Ue sull’automotive frena industria e lavoro

Gerardo Larghi
Pubblicato 29 Agosto 2025
Lavoratori di uno stabilimento Stellantis (Ansa)

Lavoratori di uno stabilimento Stellantis (Ansa)

Nello stabilimento Stellantis di Termoli verrà usata la solidarietà per 12 mesi. Resta l'incertezza sul futuro dei lavoratori

Se non si trattasse di una faccenda maledettamente seria verrebbe da buttarla in barzelletta. Parliamo del contratto di solidarietà di un anno che è stata concordato dal 1 settembre fino al prossimo 31 agosto 2026 nello stabilimento Stellantis di Termoli e che riguarderà 1.823 dipendenti. Per 12 mesi Termoli lavorerà a orario ridotto e i lavoratori saranno sospesi a rotazione per fasi, reparti e settimane, in base agli ordini.


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La notizia non è certo quella di un “contratto di solidarietà” a Stellantis (ne sono previsti dal 1° settembre anche per altri stabilimenti, con durata diversa). La notizia piuttosto riguarda il futuro dell’automotive, uno dei settori industriali più densi di ricerca e innovazione, più capillarmente diffusi sul territorio italiano. Al di là di ogni retorica, infatti, il punto è capire se all’Italia interessa ancora che una parte significativa del proprio Pil dipenda dalla metalmeccanica di punta o se invece il gruppo dirigente de’Noantri, Governo in testa, immagini un domani a base di Papeete e “Vera ricetta dell’Amatriciana da esportare per il Made in Italy”.


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Guardiamo al contesto. Il mercato auto europeo non corre e la guerra commerciale pesa su tanti prodotti e dunque anche su quella parte dei motori prodotti a Termoli che sono destinati a essere montati negli Usa su Jeep Compass.

In economia però, quella reale, quella delle aziende di ogni giorno, c’è una legge che vale sempre: a far male alle imprese non sono le tasse, i costi, i prezzi, i mercati, bensì l’incertezza.

Un imprenditore, i sindacati, sanno sempre come fare e come agire di fronte a una difficoltà: il nemico quando è identificato è aggredibile, puoi sempre inventarti qualcosa. Chessò, una ristrutturazione, una riconversione, un’apertura a nuovi mercati, accordi con nuovi clienti per nuovi prodotti.


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In sostanza: ai problemi si può dare una risposta. Assodato: sempre entro un range di opportunità, ma insomma. Difficilmente un imprenditore, e con lui, se l’azienda è sana, i lavoratori e dipendenti, si arrendono davanti a un imprevisto. Quel che davvero ammazza un’impresa è l’incertezza.

C’era una vecchia barzelletta, un aforisma delle Strumtruppen, la striscia di fumetti che andava per la maggiore nel secolo scorso: la sentinella intimava urlando “Altolà! Amico o nemico?” e la risposta lo lasciava interdetto “Semplice conoscente”. Cosa si fa davanti a un semplice conoscente? Cosa sarà? Gli sparo, lo faccio passare, ci gioco a carte?

Ecco per le aziende dell’automotive il futuro non è né amico, né nemico, ma un semplice conoscente. Un tipo dalle intenzioni incerte che caracolla con sguardo perso verso un domani di cui lui stesso ignora tutto. E in questo panorama come si fa ad agire? Che diavolo di decisioni si possono prendere? Vabbé, ci si mobilita, si fanno piani, si investono un po’ di soldi, si spostano produzioni di qua e di là, ma in fondo siamo poco distanti dalla borbonica ammuina. Perché la verità è che a mancare è una direzione chiara, un futuro definito.

Una domanda: sapreste indicare qual è la visione che i nostri governanti, cioè quelli che devono agire, non quelli che devono annunciare, hanno per il domani del settore? Si poteva essere d’accordo o meno, e noi lo eravamo, meglio lo siamo, ma scommettere sull’elettrico era una scelta, una decisione precisa. Oggi, dopo che il piano è stato destrutturato a forza di slogan populistici e di ragionamenti quanto meno difettivi, come avrebbe detto Emanuele Tesauro, quali sono le linee programmatiche? Perché a spararla grossa si convincono il popolino e “gli esperti tuttologi che l’hanno letto su ChatGTP”, ma non si fa economia. Anzi: non si fa, come recita il vecchio adagio che chi sa fa, chi non sa…

E parliamo di Europa, dove la capacità di produzione di piani e progetti è pari a quella statunitense di produrre armi e hamburger! Lasciamo stare l’Italia: qui manca perfin la carta per stendere un progetto. Figuriamoci la visione strategica. Avete notizia di qualche progetto per l’industria italiana? Noi abbiamo vissuto in alta montagna e non c’era internet, per cui magari ci è sfuggita qualche mirabile notizia. Avvisateci neh, se la avete avvistata.

Stellantis, Renault, le case tedesche, per stare nel cortile nostrano, ora devono rispondere a quale orizzonte, a quale sfida? Devono investire sull’elettrico, sul misto, su motori a basse emissioni? Ad esempio: devono fregarsene degli ecologisti e dare sfogo ai carburatori più rumorosi e inquinanti o devono pensare alla natura e agli uccellini che cinguettano? Perché intanto il mercato si muove e i cinesi mica stanno a guardare.

Basta alzare la testa dalle menate che l’algoritmo suggerisce su Twitter, o come diavolo si chiama adesso, per vedere cosa sta accadendo. Il mercato ormai si rivolge a marchi nuovi, agli assemblatori di pezzi altrui. Non citiamo i nomi, ma ognuno ha sbirciato verso qualche modello per il quale invece dei 50mila eurini per una “treruote e la quarta optional” si spenderebbero i canonici 20mila per una “TuttoAccessoriataDiSerieCompresaLaBiondaDiLato”.

Successe già con l’hardware negli anni 80 del secolo scorso, quando ancora una linea e un Governo ce li avevamo: dopo il boom dei PC di marca, IBM, Olivetti eccetera, arrivarono gli assemblati. Costavano meno, anzi poco, li smontavi e rimontavi. Ma i margini erano tanto bassi che sia loro, sia l’Olivetti e tante altre marche sparirono. L’orizzonte era dominato dall’incertezza.

Torniamo a noi. Trump è un narcisista e anche leggermente preda dei suoi personali interessi, ma i suoi dazi non sono l’unico fattore. È il quadro che è fragile e nebuloso.

Per chi non ha memoria o non ha seguito la vicenda un paio di passaggi. Oggi a Termoli si producono motori a benzina per diversi modelli Stellantis. A gennaio dovrebbe partire la produzione del cambio eDct elettrificato per le auto ibride. Si spera di produrne circa 300mila unità l’anno e dunque il nuovo contratto di solidarietà è un ponte in attesa che la nuova linea funzioni. Ma, e siamo sempre lì, a Termoli era prevista la nascita di una gigafactory finanziata con i soldi del Pnrr e nata da un’intesa con Total e Mercedes.

L’orizzonte oscuro, la crisi mondiale, i proclami ad mentulam canis di chi urla slogan ma quanto a proposte nisba, hanno indotto Acc (questo il nome della joint venture) a mettere in pausa i progetti.

Il Governo a sua volta ha ricollocato una parte dei fondi del Pnrr spiegando che quando ci saranno nuovi progetti se ne riparlerà. Campa cavallo, visto l’andazzo nostrano. Ma non si urlava che Stellantis doveva restare a casa nostra? Non si convocò l’Agnelli, pardon l’Elkann, di turno, per interrogarlo in favore di telecamera? E che idea c’è oggi su Termoli nelle stanze dove si fanno i progetti per l’Italia che domina il Mondo?

Vabbé ma che ci azzecca con la solidarietà di oggi? Nulla: se non fosse che torniamo al solito problema. L’incertezza: e alla consueta richiesta di imprenditori e sindacati. Metteteci pure le tasse, aggiungeteci balzelli e problemi. Li risolveremo. Ma dateci anche una roadmap chiara sugli investimenti.

Governare, produrre, generare benessere e ricchezza sono gesti che sono incompatibili con l’incertezza, con il proclamare e poi non far seguire i fatti, con il vediamo domani cosa fare. Comportamenti che, ahimè, sembrano, però essere divenuti la cifra distintiva di ogni vero buon dirigente.

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Tags: John ElkannFiat Stellantis Chrysler

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