Dal gruppo dei popolari europei e arrivato uno stop alla von der Leyen sull’automotive. La presidente ha dovuto correggere la linea

Il 2025 è davvero cominciato male per Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione sta prendendo atto dell’irrilevanza politica dell’UE a livello internazionale e delle gravi conseguenze causate dalla sua politica di alleanza strategica tra verdi, socialisti e popolari. A cominciare proprio da questi ultimi, perché mentre dietro le quinte della maggioranza che sostiene Ursula 2 sembra essersi scatenato un ormai aperto rifiuto del Green Deal. Infatti i popolari europei, soprattutto quelli tedeschi, le hanno dato di fatto un aperto stop sugli scenari “green”, a cominciare dall’automotive.



Già in passato i popolari avevano mandato segnali di scontento. I mal di pancia erano però rientrati, in un modo o nell’altro, all’insegna della vocazione “governista” del PPE. Ora, invece, le imprese chiudono. E von der Leyen è costretta a frenare, ovviamente senza ammetterlo apertamente, anzi, con il sorriso sulle labbra.



C’è però poco da sorridere: Ursula ha capito che rischia di rimanere a piedi e senza sponsor se continua così, e che se l’Europa vuol restare a fare la mosca cocchiera nel campo delle emissioni, l’industria europea rischia il fallimento, settore automotive in testa.

Questo creerebbe conseguenze inimmaginabili per l’elettorato tedesco, con la AfD in agguato e con gli europarlamentari del PPE “costretti” dal green a dar ragione a chi quelle politiche aveva sempre contestato, chi apertamente – i Patrioti (la Lega in Italia) – chi in modo più conciliante, come ECR. Di qui l’annuncio di un primo rallentamento generale sugli obiettivi da raggiungere in campo ambientale, cui probabilmente seguiranno altre progressive retromarce in ordine sparso.



Certo i propri errori non si ammettono mai, così, piuttosto sobriamente, von der Leyen ha dichiarato che “per affrontare la questione in modo equilibrato, questo mese proporrò un emendamento mirato al regolamento sugli standard di CO2 delle auto, per fare in modo che le aziende del settore, anziché avere una compliance annuale, abbiano tre anni di tempo per adeguarsi agli standard di conformità”. Insomma: un rinvio di mille giorni e poi si vedrà. Intanto, però, von der Leyen deve ammettere che “c’è una chiara richiesta di maggiore flessibilità sugli obiettivi di CO2. Il principio chiave è l’equilibrio: da un lato abbiamo bisogno di prevedibilità ed equità nei confronti di chi ha fatto con successo i compiti a casa, dall’altro dobbiamo ascoltare la voce di chi chiede più pragmatismo in tempi difficili”. Visto che i “compiti a casa” li hanno comunque fatti in pochi, è sull’altro versante che si deve intervenire per salvare il salvabile. Dunque, meno “compiti a casa” e più pragmatismo.

Ma non basta, perché per Ursula c’è un altro boccone da ingoiare, dovendo ammettere che “questo significa avere anche una maggiore chiarezza, certa che un emendamento mirato potrebbe essere approvato rapidamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio”. Retromarcia, quindi, ma di quelle sprint, visto che von der Leyen rischia altrimenti di ritrovarsi senza una maggioranza in Parlamento.

Sarebbe interessante sapere cosa pensa la presidente del fatto che, al suo annuncio, subito i titoli automobilistici sono schizzati in alto in tutte le Borse europee, con sorrisi e sospironi di chi – come il ministro italiano Adolfo Urso – questo cambiamento di passo lo chiedeva da tempo e che infatti plaude alla nuova strategia che “Salva l’industria auto europea, con la Commissione che dà ragione all’Italia”. Idem Salvini: “il Ppe, di cui fa parte Forza Italia” ha dichiarato il ministro dei Trasporti “ha finalmente ammesso formalmente che dire no ai motori tradizionali dal 2035 è un errore: la Lega ha sempre votato contro questa euro follie che hanno distrutto fabbriche posti di lavoro”, aggiungendo che è necessario ora che l’Europa tolga le multe alle case automobilistiche.

Mercoledì sapremo meglio i dettagli de piano von der Leyen, ma davvero c’è da chiedersi perché si sia atteso tanto ad esercitare il buon senso, quando praticamente tutto il continente chiedeva da tempo maggiore elasticità, vista anche la dipendenza europea dall’estero sia nel campo delle batterie che dei pannelli solari o dei semiconduttori.

Un cambio di rotta ambientale potrebbe avvicinare finalmente le destre e i centristi, ma rischia di creare una spaccatura nella maggioranza dell’Europarlamento, visto che nei palazzi di Bruxelles verso le prime si continua a ragionare in termini di “cordone sanitario”. Chi ha perso il lavoro ringrazia.

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