MINNEAPOLIS – Anzitutto la Columbia University, nel cuore di New York City, e poi Boston, Los Angeles, Austin, Pittsburgh, Minneapolis, università sparse un po’ ovunque dal Rhode Island all’Ohio, dal Michigan al Connecticut, dall’Atlantico al Pacifico, incluse le prestigiose Harvard e Yale. Tutte a seguire l’esempio della Columbia e del suo encampment di oltre 80 tende che riveste il prato centrale del Campus ad Harlem, e tutte squassate dalle proteste, dalle polemiche e dall’arrivo della polizia in tenuta antisommossa per tentare di ripristinare una qualche forma di “ordine”.
Cosa sta succedendo nelle università americane? Cosa sta succedendo alla leadership di queste istituzioni? E cosa sta succedendo alla tanto amata freedom of speech, la libertà di parola, e alla sempre conclamata “tolleranza”? Cosa sono tutte queste proteste per ciò che Israele sta causando a Gaza? Gesti di pace, fratellanza e speranza nel futuro o sinistri segnali di un sommario e violento antisemitismo?
Incrocio il post su Facebook di una persona che conosco bene: “Vedere l’accampamento (alla Columbia University) è stata una bellissima esperienza. Vederli ballare al ritmo di una canzone punjabi mi ha emozionato. I giovani sono letteralmente il futuro e io mi sento fortunata ad essere testimone della loro gioia e del loro coraggio”. Incrocio anche quello che ha detto Mike Johnson, presidente della Camera dei Rappresentanti durante una tumultuosa visita alla Columbia durante la quale gli studenti hanno cercato di impedirgli di prendere la parola. Definendo Nemat “Minouche” Shafik, presidente della Columbia, una “leader inetta” incapace di garantire l’incolumità e la sicurezza degli studenti ebrei, Johnson l’ha di fatto invitata a dimettersi chiedendo nel contempo l’invio della National Guard per riprendere in pugno la situazione e metterla sotto controllo.
Andando avanti nella dolorosa lettura delle news mi sono poi imbattuto in una cosa scritta dieci anni fa da Arnold Kling, un economista. Parlando delle differenze tra progressisti e conservatori, Kling ci dice che i progressisti vedono il mondo come una lotta tra l’oppressore e l’oppresso schierandosi nel tentativo di aiutare gli oppressi. I conservatori dal canto loro vedono il mondo come una lotta tra civiltà e barbarie – tra ordine e caos – e cercano di proteggere la civiltà. Commentava il giornalista che aveva riesumato il testo che, come molti frameworks, quello di Kling è una semplificazione. Tuttavia la dicotomia di Kling serve ad aiutarci a capire perché i leader universitari trovano così difficile risolvere la situazione: meglio dare priorità al mantenimento dell’ordine o all’azione degli studenti che tende a denunciare l’oppressione? Ordine anzitutto, come condizione necessaria ed indispensabile per discutere e presumibilmente dialogare, o libertà di espressione come punto di partenza imprescindibile da difendere in qualche modo anche “disordinato”?
Gli studenti – almeno per ora – non fanno sconti. Le loro richieste includono il disinvestimento da parte delle loro università da società collegate alla campagna militare israeliana, la divulgazione di questi e altri investimenti e il riconoscimento del continuo diritto a protestare senza poter essere puniti per questo. Anche se ancora una volta l’intolleranza dei sedicenti tolleranti si fa spesso violenta. Battaglia sui prati dei campus, battaglia istituzionale, battaglia politica, ma soprattutto battaglia di educazione e mentalità.
Già, ma chi è che educa?
God Bless America!
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