Scuola e società hanno bisogno di testimoni
Istruire ed educare sono compiti che nè la scuola nè gli insegnanti possono assumersi in via esclusiva come competenza squisitamente professionale. Una lettrice si chiede come è possibile mettere in gioco “la persona” come insegnante, dirigente scolastico, genitore nel difficile compito di educare i giovani?

Una nostra assidua lettrice, Anna Di Gennaro ha inviato a SussiDario un commento in cui, tra l’altro, è detto: «…i “segni” sono “invisibili” a chi non è educato a leggerli neppure in sé… Lo sguardo di stupore, quello di Marcellino per intenderci, va educato fin dalla più tenera età. Spesso mi sono domandata donde nasce il disagio degli insegnanti che mi scrivono, mi chiamano mi vogliono incontrare, comprese varie cielline. Dalla solitudine e dalla “trascuratezza dell’io” direbbe Giussani!»
La “trascuratezza dell’io” non è certo una prerogativa degli insegnanti, ma colpisce tutti noi. E ciò è tanto più paradossale in un’epoca che parrebbe caratterizzata da individualismo ed egocentrismo, fino all’egoismo più spinto. Una società quindi profondamente segnata dalla solitudine. Il paradosso è tuttavia solo apparente. L’io di cui parla Don Giussani è ben diverso dall’ego della cultura odierna, un ego che esclude gli altri, che anzi pretende di dominarli, finendo poi per essere dominato: dagli altri o da se stesso.
Mi viene in mente la frase di Gesù, o meglio il Suo comandamento: «Ama il prossimo tuo come te stesso». La trascuratezza dell’io è l’incapacità di amare se stessi, e di conseguenza gli altri, il prossimo, è la paura, quando non l’orrore, per come siamo fatti, per i nostri limiti e per le manchevolezze di chi ci sta attorno. In una sua recentissima lettera dal Paraguay, Padre Trento dice:
«Ma capite, cari amici che soffrite, voi che nelle vostre e-mail piene di dolore, di ferite, di quell’umanità che ognuno, seriamente compromesso con il proprio io, si porta dentro, cosa vuol dire incontrare un uomo che ti dice così?» Ciò che manca a molti, a me, oggi è proprio questo: essere seriamente compromessi con il proprio io e, come ancora dice Padre Aldo, la ricerca di «testimoni a cui guardare, piccoli o grandi che siano. Chiediamo la grazia di accorgerci dove sono».
Per trovarli occorre anche lo sguardo di Marcellino, uno sguardo aperto sul mondo che non può che essere contrassegnato dallo stupore, ché l’alternativa sarebbe la supponenza e il pregiudizio, il guardare senza vedere. Questo sguardo, dice Anna, va educato fin dalla più tenera età e questo è un compito primario della famiglia, cui la scuola può dare però un contributo fondamentale.
Genitori e maestri (e anche nonni): i primi testimoni di cui parla Padre Trento. Se tutte le polemiche e discussioni sulla scuola venissero considerate in questa luce, forse il disagio di tanti insegnanti si trasformerebbe in una sofferente responsabilità e nella coscienza di essere caricati del più grande compito che possa spettare ad una persona: educare, cioè condurre alla propria verità. E come detto, questo non è compito dei soli insegnanti, ma di ognuno di noi.
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