Gli USA modificano un documento lasciando intendere di sostenere l’indipendenza di Taiwan. Irritazione da parte cinese

“Non supportiamo l’indipendenza di Taiwan“. Gli americani tolgono questa frase da una scheda del Dipartimento di Stato e subito nasce un caso con la Cina Popolare, che intravede un cambio di linea da parte dell’amministrazione Trump riguardo alla rivendicazione del territorio della Repubblica di Cina-Taiwan da parte di Pechino, pensando cioè che in realtà ora Washington appoggi la mai dichiarata indipendenza di Taipei.



Quello che per ora gli USA definiscono un semplice aggiornamento dei contenuti e che in realtà può essere classificato come una presa di posizione del nuovo presidente per mettere pressione sulla controparte, probabilmente, spiega Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito, fondatore dell’IGSDA e membro del Collegio dei direttori della NATO Defense College Foundation, non cambierà veramente le carte in tavola nell’Indo-Pacifico, un’area in cui la politica del presidente cinese Xi Jinping è aggressiva e mira al controllo del Mar Cinese del Sud, a scapito di tutti gli altri attori della zona.



Di certo, però, certifica che la tensione anche in questo versante del mondo è alta, tanto che dopo l’auspicata soluzione della guerra in Ucraina, le attenzioni si potrebbero spostare qui.

Basta una frase tolta per far allarmare i cinesi di Pechino? Sono così sensibili sul tema Taiwan?

La Cina Popolare si arrabbia anche solo a sentir parlare di indipendenza, perché considera la democratica Taiwan una provincia ribelle. L’ex presidente Biden durante il suo mandato ha sempre parlato dell’alleanza degli USA con Taipei, sostenendo che gli americani sarebbero potuti intervenire in sostegno dei taiwanesi, ma riconoscendo il principio di una sola Cina, tenendo nei fatti una posizione diplomaticamente ambigua.



Togliere questa espressione e quindi far capire che gli USA potrebbero continuare a sostenere l’indipendenza di Taiwan è comunque un cambio di prospettiva notevole. O no?

Si tratta di un’ambiguità diplomatica. Ma è una posizione che va inquadrata nel contesto di quello che sta succedendo nell’area. In questo momento la Cina Popolare vuole il controllo di tutto il Mar Cinese, in aperto contrasto con Filippine, Vietnam e Giappone, per non sentirsi contenuta nella sua attività strategica, economica, militare. Per avere più libertà d’iniziativa nell’area, i cinesi hanno sempre puntato a conquistare l’isola ribelle di Taiwan. Permetterebbe a Pechino di avere libertà di accesso all’Oceano Pacifico e non sentirsi controllata dai Paesi filo-americani, anche se solo il Giappone ha un accordo di difesa con Washington (Filippine e Vietnam, no).

Ci sono altri motivi che spingono la Cina Popolare a reiterare le sue rivendicazioni?

Taiwan è una democrazia dichiarata da tantissimi anni e la Cina Popolare, che politicamente è strutturata su un regime comunista, non vede di buon occhio questa forma di governo “democratico”. Poi c’è il motivo economico, perché Taiwan è il miglior produttore di microchip a livello mondiale, anche se, proprio in virtù della sua leadership nel settore, ha decentrato una parte dell’attività anche in Cina.

Come possiamo interpretare questa mossa degli americani? Perché hanno tolto questa frase? Solo per mettere un po’ di pressione alla controparte, come fa sempre Trump?

Probabilmente vogliono solo osservare come reagisce la Cina Popolare. La reazione è stata immediata e Pechino ha dato maggiore frequenza e sostanza alle minacce militari intorno all’isola. Dall’inizio dell’anno ci sono state più di cento incursioni navali nell’area di Taiwan, la minaccia è costante, anche se poi anche la reazione di Taipei è sempre la stessa e il suo sistema di difesa non cade nel tranello di aprire il fuoco su chi supera la linea di demarcazione. Ora, per fare un esempio, bisognerà vedere come si muoverà Trump sulla questione dei dazi: li ha imposti alla Cina Popolare ma non ho notizia che abbia fatto la stessa cosa con Taiwan, a riprova del fatto che le considera due interlocutori diversi. Un elemento, questo, più importante da considerare che non una semplice frase tolta da una scheda.

Ma Trump ha fatto dichiarazioni diverse su Taiwan rispetto a Biden?

Di diverso non ha detto niente. Diciamo che in questo momento Taiwan è la terza area d’interesse, dopo l’Ucraina e Israele. La conflittualità è molto alta anche in quest’area, ma non è stata ancora affrontata dal Presidente. Trump deve risolvere altre situazioni come promesso ai suoi elettori in campagna elettorale. Quando lo avrà terminato, si occuperà di Taiwan, ma non avrebbe mai detto come intende agire con Pechino, nello specifico.

Xi Jinping ha veramente intenzione di prendersi Taiwan, magari passando alla soluzione militare?

Il governo di Taipei, oggi, non pone ostacoli al mantenimento dello status quo e, probabilmente, continuerebbe così. Però bisogna vedere quanto Xi e il Partito comunista cinese vorranno forzare la mano, anche alla luce di quello che sta avvenendo con la Russia. Se si accettasse che i russi prendano Crimea e Donbass senza conseguenze, la Cina Popolare potrebbe pensare di fare la stessa cosa con Taiwan.

L’opzione militare è comunque sul tavolo?

Non è semplice. Se si esclude un’azione di forza che comporterebbe migliaia di morti e ingenti distruzioni, occorrerebbe provare a far cedere Taipei realizzando un blocco navale dell’isola, ma si tratta di un’operazione complessa da realizzare. Tutti sono coscienti che a 250 chilometri a nord di Taiwan c’è Okinawa, la più grande base americana della zona, con circa 25mila uomini. Esercitare un blocco navale vorrebbe dire coinvolgere anche loro e il Giappone. Anche la trumpiana “rivendicazione” sulla Groenlandia in fondo potrebbe fare gioco alla Cina Popolare. Pechino potrebbe fare in qualche modo un parallelo con la situazione di Taiwan. Ma questa è fantapolitica.

C’è la possibilità che Xi sfrutti questo particolare momento storico per agire?

La Cina Popolare in questo momento, a mio parere, starà a vedere, continuerà con le sue esercitazioni dimostrative intorno all’isola, ma aspetterà che vengano definite in modo chiaro le altre situazioni d’interesse mondiale ancora aperte. Per adesso l’incidente diplomatico dovuto alla frase tolta dagli americani è solo una presa di posizione di Trump rispetto a un’area che comunque considera importante. Ma il Mar Cinese del Sud non è il Golfo del Messico al quale si può cambiare nome, e molte economie del mondo dipendono dai microchip assemblati a Taiwan, anche in Europa.

Un attacco della Cina popolare oltre agli USA farebbe reagire anche Giappone, Filippine, Vietnam?

Il contrasto fra Cina Popolare e Giappone è storico, così com’è storica l’alleanza di Tokyo con Washington. I giapponesi potrebbero dire la loro. Recentemente, d’altra parte, due navi da guerra americane hanno attraversato lo stretto di Taiwan: un episodio che ha innervosito molto i cinesi. Gli americani, comunque, ritengono importante la libera circolazione nel Pacifico e nel Mar Cinese passa un quarto del traffico mercantile mondiale. Al momento, però, non mi sembra ci sia l’intenzione di aprire un altro fronte di guerra, anche se a bassa intensità.

Fermo restando che per i cinesi quella contro Taiwan sarebbe comunque una guerra molto dispendiosa, c’è la possibilità di una soluzione diplomatica?

Biden ha continuato a rifornire Taiwan di armi tecnologicamente avanzate e Trump non bloccherà queste forniture di sicuro. L’ideale per Taiwan, che non ha mai proclamato l’indipendenza, sarebbe che la situazione rimanga così com’è. Non è il momento per un’altra guerra. Quanto alla soluzione diplomatica, dopo che i taiwanesi hanno visto cosa è successo a Hong Kong, è comprensibile che non si fidino. La cosa più probabile è che tutto rimarrà così almeno fino a quando non verranno risolte le altre crisi mondiali, poi ci si augura che, a Pechino, la ragione abbia la meglio sull’ideologia.

(Paolo Rossetti)

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