Ieri Landini ha fatto bloccare dalla Fiom la tangenziale di Bologna. La protesta sindacale non c’entra più: la sua è solo strumentalizzazione politica

Che i salari in Italia vadano alzati lo ha riconosciuto perfino il presidente neo-eletto di Assolombarda, Alvise Biffi. Che quindi i sindacati dei metalmeccanici protestino perché il confronto sul loro contratto nazionale è fermo di un anno è un fatto totalmente fisiologico in una democrazia di mercato. E le agitazioni non possono essere ignorate: i lavoratori e le loro organizzazioni vanno ascoltati – subito – dai loro datori e dal governo.



Quello che appare meno scontato è che le agitazioni scoppino quasi da zero dieci giorni dopo che il leader della Cgil, Maurizio Landini, ha riportato una sconfitta bruciante sul referendum sul Jobs Act, operazione di cui il capo storico della Fiom è stato il vero regista. E da cui è stato respinto da un elettorato diffidente anzitutto verso i dichiarati fini politici.



Nell’approccio di Landini l’abolizione “popolare” dei residui della riforma del lavoro varata dal centrosinistra nel 2015 è apparsa da subito un pretesto per tentare una spallata “democratica” al governo. Un tentativo pesantemente fallito, trascinando con sé anche un altro obiettivo-pretesto, quello di dimezzare i tempi di ottenimento della cittadinanza per i migranti,  e forse le stesse ambizioni politiche di Landini; se non addirittura le chances dell’intera opposizione a due anni dal prossimo voto politico.

Su questo sfondo non appare priva di significato la scelta di bloccare con i cortei lo snodo forse più vitale dell’intera rete autostradale italiana, la tangenziale di Bologna (fra l’altro la città di Elly Schlein, leader del Pd). Per di più con il fine politico aperto di mettere alla prova il “decreto sicurezza” appena convertito in legge dal parlamento.



Peccato che nel traffico interrotto dagli “scudi umani” di Landini non siano rimasti imbottigliati né la premier, né il ministro del Lavoro, né quello dell’Economia, né quello degli Interni; e neppure il presidente di Stellantis, che continua a chiudere impianti produttivi in Italia.

Fermi in coda si sono trovati a migliaia altri lavoratori dell’Azienda-Italia. Ma è alla fine loro che oggi Landini si ritrova verosimilmente a “odiare”. Potevano andare a votare il referendum contro il governo “fascista” e invece per più di due terzi hanno disertato la “lotta”.

Landini non viene evidentemente neppure sfiorato dall’idea che l’8 giugno non fossero al mare ma a casa, costretti dai salari che l’inflazione erode sempre di più o preoccupati dai posti di lavoro bruciati dalla “permacrisi” in corso da cinque anni. Ma di questo la Cgil – come il Pd – si sta occupando poco o per niente.

Appare chiaramente più facile riempire piazze “geopolitiche” contro il governo israeliano, quello che non si preoccupa né degli ostaggi ancora in mano ad Hamas, né dei cittadini messi a rischio come scudi umani quando su Tel Aviv cadono i missili iraniani che rispondono all’ennesima “guerra di Netanyahu”. Ma a Gerusalemme – come, pare, al vertice del maggiore sindacato italiano – quello che conta è evidentemente ormai solo la leadership del Capo.

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