La tassazione sulle partecipazioni qualificate non può considerarsi sempre effettiva, come nella sentenza in questione dove il Fisco ha commesso un errore.
Prima di poter confermare l’applicabilità della tassazione sulle partecipazioni qualificate (oppure no), vanno individuati alcuni fattori molto importanti, tra cui la potenziale detenzione sia azioni in nuda che in piena proprietà (e a patto di effettuare una valutazione completa).
A dirlo è stata la Corte di Cassazione, la quale ha aggiunto l’importanza di effettuare una analisi definitiva di ogni azione posseduta dal potenziale interessato. La pronuncia è arrivata quest’anno con il protocollo numero 17741 e risalente al 1° luglio.
Come individuare una tassazione in partecipazioni qualificate

La pronuncia sopra evidenziata vedeva un accertamento fiscale da parte dell’Ade, in merito ad una tassazione maggiorata in quanto il calcolo è stato previsto sulle partecipazioni qualificate e sul conteggio dei dividendi presumibilmente ricavati dal contribuente in questione (socio di una nota azienda SPA).
La signora coinvolta nel caso ricorreva al ricorso con una giurisdizione perché supponeva un errore nei conteggi da parte del fisco.
I giudici di 1° grado hanno confermato la distrazione dell’amministrazione finanziaria, che erroneamente aveva calcolato le imposte sulla partecipazione qualificata, equiparandola alla distribuzione dei dividendi spettanti ai soci di una società.
Per Legge sono “redditi diversi”
L’errore commesso dall’Agenzia delle Entrate era palese anche perché se i redditi conseguiti non provengono da una società in accomandita semplice, o dalla natura di un’attività economica di professioni e arti, vanno identificati come “diversi”.
Ogni partecipazione va calcolata secondo delle percentuali specifiche, ponendo attenzione anche alla natura dei ricavi: ad esempio le azioni ottenute per risparmi non possono prevedere lo stesso calcolo delle cessioni delle stesse.
La sentenza si è conclusa positivamente, accettando il ricorso della contribuente che non poteva essere in partecipazione qualificata sia perché non possedeva alcun dividendo della società, e sia perché non raggiungeva la soglia minima prevista dalla Legge per poter partecipazione e dare un voto sul potere decisionale.
Infine, ha contribuito alla ragione della lavoratrice della società per azioni il fatto di non detenere a pieno titolo le azioni, ma avendo una buona parte come “nuda proprietà”.
