La provincia di Brescia è la seconda più colpita d’Italia per il numero di contagi Covid, oltre 700 casi nelle ultime ore, 3.857 nell’ultima settimana, mai così tanti dal picco di novembre, una media di 552 casi al giorno. Non a caso dalle 18 di ieri la provincia di Brescia è entrata in una zona “arancione rafforzata” che prevede «oltre alle normali misure della zona arancione, anche la chiusura delle scuole d’infanzia, elementari e medie, il divieto di recarsi nelle seconde case, l’utilizzo dello smart working dove possibile e la chiusura della attività in presenza». Non solo: è proprio in provincia di Brescia che alcuni comuni sono stati dichiarati zona rossa.
E’ la temuta terza ondata attesa da tempo? E’ la variante inglese che, come si sa, provoca contagi a maggiore velocità? E come mai ha colpito duro proprio nel bresciano, là dove, insieme alla provincia di Bergamo, la prima ondata dello scorso anno ha mietuto più vittime? Secondo Camillo Rossi, già direttore sanitario dell’Asst di Cremona, attualmente direttore sanitario dell’Asst Spedali Civili di Brescia, “c’è innanzitutto da tenere conto proprio della variante inglese, più contagiosa e a più rapida diffusione. Poi, purtroppo, dobbiamo registrare i frequenti assembramenti, che si verificano qui come in tutta Italia. Infine, un nuovo fenomeno che stiamo osservando: i ragazzini in età prescolare non sono più colpiti dal virus, ma sono diventati diffusori, portando il Covid a casa, creando così molti focolai familiari”.
La provincia di Brescia torna a essere pesantemente colpita come durante la prima ondata. Secondo lei, come si spiega l’alto numero di contagi?
Il primo motivo è sicuramente dovuto alla diffusione della variante cosiddetta inglese, che propaga il virus con maggior velocità. La campagna di vaccinazione va avanti, per adesso abbiamo vaccinato il personale sanitario, poi proseguiremo seguendo i protocolli regionali e ministeriali con la popolazione. Ovviamente ci vuole del tempo per vederne gli effetti. Ma c’è da sperare siano positivi.
Nutre dei dubbi?
No, per adesso, vedendo la reazione sul personale sanitario: abbiamo delle evidenze positive.
Quali altri motivi vede in questa esplosione dei contagi?
Osserviamo un ricorso massiccio ai centri intra-ospedalieri in cui si eseguono i tamponi. Siamo stati i primi ad avere un centro per tamponi e si registra tuttora una grande attività. Anche per questo, facendo tanti tamponi, le cifre sui casi positivi che si leggono sui giornali sono alte.
C’è forse anche poca osservanza delle normative di sicurezza?
Sì, come si vede in tutto il paese c’è una tendenza agli assembramenti, comprensibile dal punto di vista sociale, ma non da quello sanitario. Però rispetto allo scorso anno assistiamo a un andamento diverso del virus, sia il ceppo originale che la variante inglese.
In che senso?
Nel senso che i pazienti in età pre-scolare, i ragazzini, che prima venivano solo contagiati, adesso si trasmettono il virus tra loro, lo abbiamo visto nei cluster.
In questo modo portano il virus in famiglia?
Esattamente, è un fenomeno che stiamo osservando più che nel periodo precedente, e questo porta a creare molti focolai familiari. Bisogna stare molto attenti: il virus oggi circola in modo differente e ci aspettiamo una crescita di chi ricorre ai servizi sanitari.
Come è, appunto, la situazione dal punto di vista delle strutture ospedaliere?
Utilizziamo tutti gli strumenti disponibili, come le cure a casa attraverso le Usl e le Ats e i medici di famiglia. Per l’età pediatrica non abbiamo il pronto soccorso, non sta impattando dal punto di vista clinico i bambini. Il vero problema sono gli adulti, che hanno ripreso ad affollare i pronto soccorso. E’ ricominciato il flusso.
Abbiamo letto che diversi pazienti sono stati trasferiti altrove a causa dell’intasamento nelle rianimazioni. Come è la situazione nelle terapie intensive?
Nella mia struttura no, al momento abbiamo previsto un ampliamento, però non abbiamo trasferito nessuno. Abbiamo un piano di rescue che viene attuato un gradino alla volta, perché dobbiamo tenere aperta anche l’attività non Covid. Da settimane, comunque, abbiamo un numero costante di pazienti Covid, assistiamo a una lenta crescita lineare, come stiamo comunque vedendo anche in altri territori della Lombardia.
(Paolo Vites)