Nel testamento di Giorgio Armani sono state fornite indicazioni chiare sul futuro della sua azienda, che presentano delle criticità

La scomparsa dello stilista Giorgio Armani e la successiva divulgazione del suo disegno di successione hanno acceso numerose riflessioni. Se la sua eredità più astratta – il brand e lo stile che ha saputo creare – è ingiudicabile, è possibile analizzare in maniera prosaica quella più tangibile, quella cioè composta da un patrimonio che, a seconda delle stime, varia da 11 a 13 miliardi.



In questa intervista Luca Brambilla, Direttore dell’Accademia di Comunicazione Strategica, esamina la vicenda da un punto di vista imprenditoriale e manageriale facendo emergere spunti e considerazioni su questo dibattuto testamento.

Il 4 settembre Giorgio Armani è morto all’età di 91 anni. Come ha organizzato la sua successione?



Nel campo della moda, e non solo, Giorgio Armani è stato indubbiamente un eccellente innovatore. In cinquant’anni di storia ha costruito un gruppo che ha via via ampliato la propria offerta includendo accessori, make-up, profumi e design di interni, oltre ad aprirsi al settore sportivo tramite la collezione di abbigliamento EA7 e la società di basket Olimpia Milano.

Il disegno di successione riflette il suo pragmatismo, definendo indicazioni e tempistiche con forse fin troppa chiarezza. Per citare alcuni esempi ha indicato che gli eredi cedano il 15% della società entro 12-18 mesi dalla morte, e un ulteriore 30% (fino a un massimo di 54,9%) nei 3-5 anni successivi. Indicando per di più gli acquirenti prioritari, il Gruppo LVMH, L’Oréal e EssilorLuxottica. Una rotta di successione apparentemente nitida che però nasconde punti d’ombra.



Quali sono gli aspetti più critici?

La chiarezza procedurale riduce l’incertezza imponendo una rigidità potenzialmente dannosa al processo di vendita, visto che l’obbligo di muoversi all’interno di vincoli può limitare l’individuazione di un accordo realmente di valore per l’azienda e i suoi stakeholder. Inoltre, vi sono alcuni importanti elementi di incoerenza che potrebbero minare la credibilità del brand.

La giornalista Maria Silvia Sacchi riporta infatti come per anni Armani abbia difeso l’indipendenza del Gruppo, che mai sarebbe stato venduto e men che meno ai francesi. Ora però gli eredi devono cedere una quota rilevante ad aziende terze, due delle quali francesi (LVMH e L’Oréal) e una composta da un brand francese (Essilor). In aggiunta, in caso di mancata cessione alle tre aziende citate il Gruppo verrà quotato in borsa: un’eventualità notoriamente non desiderata dallo stesso Armani.

Altro aspetto rischioso è la diversa valorizzazione tra diritti di voto ed economici, potenziale miccia d’innesco di frizioni intra-familiari. Dal testamento emerge infatti che il 40% dei diritti di voto è riservato al Consigliere delegato Pantaleo Dell’Orco, ex compagno dello stilista, che avrà gran parte del potere operativo, mentre “solo” il 30% è appannaggio dei nipoti Silvana Armani e Andrea Camerana. In più, alla sorella e all’altra nipote dello stilista , Rosanna, sono state assegnate azioni senza diritto di voto.

Interessante notare come nel prossimo quinquennio fino al 70% dell’azienda verrà ceduto a un acquirente. Come commenta questa scelta?

Ciò che sorprende, e dispiace, è l’impossibilità di individuare un nuovo erede tanto tra i familiari quanto all’interno dell’ottimo management internazionale che attualmente lavora per il Gruppo. Nel lascito manca infatti un’indicazione precisa circa il nuovo Ceo, scelta che può generare un vuoto di direzione. Risulta difficile credere che un brand famoso in tutto il mondo come Armani possa faticare a individuare un nuovo “numero uno” in grado di trasmettere lo stile, i valori e le linee guida del fondatore.

In questo si può leggere una marcata inclinazione dello stilista al controllo e una sua cautela nel delegare. Aspetti, questi, già noti, visto che fino al 2023, dunque all’età di 88 anni, non aveva ancora formalizzato un documento di successione. Come riportato dal Corriere della Sera, nel suo libro autobiografico “Per Amore” recita: “Anche io un giorno dovrò cedere il comando e concludere il mio percorso di stilista: non avverrà nell’immediato, ma ci penso da tempo”.

Celebre è la fotografia del 2020 che lo ritrae nell’atto di sistemare un manichino nella vetrina di un suo negozio in Montenapoleone. Questa attenzione al dettaglio, senza dubbio sinonimo di passione sfrenata per il proprio lavoro, mostra forse un’ipersorveglianza comune a molti imprenditori italiani. Tendenza talvolta potenzialmente deleteria per le aziende.

Che lezione possiamo imparare da questa vicenda?

La storia di Armani riflette la situazione attuale di numerose imprese italiane: uno studio di Unioncamere-InfoCamere evidenzia come nel decennio 2015-2025 il numero di titolari di aziende over 70 sia aumentato. Credo che i senior oggi alla guida di imprese debbano interpretare questo dato come monito: pensare di essere eterni, anche possedendo una genialità pari a quella di Giorgio Armani, è un limite alla crescita dell’azienda. Meglio accettare la caducità della vita, coltivando con cura una nuova generazione di discendenti diretti o manager competenti e affidabili.

Un esempio positivo in tal senso è Brunello Cucinelli, che già nel 2013, all’età di 60 anni, ha pianificato un passaggio generazionale con l’obiettivo di formare giovani dipendenti preparati e motivati in grado di ricoprire future posizioni di responsabilità. Questa fiducia verso i giovani traspare anche dalla scelta dei due Amministratori delegati, Riccardo Stefanelli e Luca Lisandroni, rispettivamente 42 e 45 anni al momento della nomina (2023).

La genialità artistica di Armani è un dono probabilmente intrasferibile, ma la guida manageriale e la capacità di gestire in maniera sana un’azienda non sono talenti innati, ma competenze sviluppabili attraverso un percorso strutturato. Perché se è vero che l’estro, la creatività e lo spirito imprenditoriale non sempre si ereditano per via sanguigna, lo è altrettanto che attraverso una successione ben pianificata si può creare il terreno per continuare a fiorire.

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