La serie HBO "The Gilded Age" è arrivata alla terza stagione e, visto il successo, è già in programma la quarta
Per completare il quadro delle numerose serie in costume apparse in questa prima metà dell’anno resta The Gilded Age, la produzione HBO che è diventata uno dei cavalli di battaglia del canale Sky Series in questi mesi.
Giunta alla terza stagione (è già stata annunciata la quarta), The Gilded Age sembra fare, per certi versi, l’occhiolino a quell’idea di “Great America” cara ai sostenitori di Donald Trump. Non a caso lo stesso Presidente ha più volte evocato il sogno di una nuova “Gilded Age” per il suo Paese, citando direttamente il titolo della serie.
Per “Gilded Age” si intende negli Stati Uniti quel periodo di splendore che, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, segnò la rivincita culturale e sociale del giovane Paese verso l’ex madrepatria britannica. Nonostante l’indipendenza, gli americani erano ancora considerati dai vecchi aristocratici europei poco più che parvenu, discendenti della “feccia” di chi aveva lasciato il Vecchio continente.
A cambiare la percezione furono soprattutto i matrimoni fra ricche ereditiere americane e nobili inglesi sul lastrico: ingenti capitali attraversarono l’Atlantico, salvando casate in rovina e rinsaldando legami tra due mondi che la guerra d’indipendenza aveva spezzato.
La storia raccontata in The Gilded Age si svolge nella New York del 1880. L’alta società è in trasformazione: i grandi imprenditori e i “nuovi ricchi” chiedono più spazio e poco a poco ne prendono il controllo. Regina incontrastata di questo mondo è Bertha Russell, interpretata da Carrie Coon (The Leftovers, Fargo, The Nest).
Dalla sua lussuosa dimora sulla Fifth Avenue osserva il declino delle vecchie famiglie e, dopo aver combinato il matrimonio della figlia Gladys, interpretata da Taissa Farmiga (American Horror Story, The Nun, 50 States of Fright) con un giovane duca inglese, sembra aver ottenuto l’impensabile.
Ma Bertha non ha calcolato le crepe all’interno della sua stessa famiglia: il marito George Russell (Morgan Spector Homeland, The Mist, Boardwalk Empire) non approva quel matrimonio, e i figli iniziano a dissentire apertamente dalle sue decisioni.
Dall’altra parte della strada resistono le sorelle Agnes van Rhijn (Christine Baranski, The Good Wife, Mamma Mia!, Cybill) e Ada Brook (Cynthia Nixon, Sex and the City, Ratched, And Just Like That…), ultime custodi di un’aristocrazia che tenta di opporsi all’avanzata dei “nuovi ricchi”.
Ma anche loro si trovano inevitabilmente coinvolte quando la nipote Marian Brook, interpretata da Louisa Jacobson, figlia di Meryl Streep, si innamora del giovane Larry, erede della famiglia Russell, creando un legame imprevisto fra i due mondi.
Come se non bastasse, a rendere ancora più vibrante il racconto di The Gilded Age c’è anche la comunità afroamericana di Brooklyn, rappresentata dalla famiglia di Peggy Scott (Denée Benton, UnREAL, Our Lady of 121st Street, Hamilton a Broadway), giovane scrittrice che incarna il riscatto di una generazione di neri americani. È un filone narrativo che arricchisce la serie, ricordando come solo pochi decenni prima quella stessa comunità fosse relegata in condizioni di schiavitù.
Non c’è dubbio che The Gilded Age abbia preso il posto che per anni è stato di Downton Abbey. E non è un caso: entrambe portano la firma di Julian Fellowes, il creatore e sceneggiatore, che ha trasposto l’eleganza e i conflitti della nobiltà britannica nell’America dell’età dorata. L’atmosfera newyorkese di fine secolo, tra opulenza e contraddizioni, restituisce con efficacia il ritratto di un’epoca di grandi cambiamenti e di sogni – spesso troppo ambiziosi – destinati a incrinarsi.
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