Si sta parlando molto dello scontro tra Trump e Powell e poco degli interessi che vengono perseguiti dalle Banche centrali
Il clima dei rapporti tra il Presidente Usa Donald Trump e il Presidente della Fed Jerome Powell è particolarmente caldo. Non bastava il caldo meteorologico.
Trump insulta Powell perché non abbassa i tassi di interesse, Powell risponde che non bada agli attacchi di Trump (come se si sentisse superiore, quasi per diritto divino) e che avrebbe già abbassato i tassi se “qualcuno” non avesse introdotto i dazi. Ora occorre capire le vere origini di questo scontro.
Proprio su queste colonne ho già affrontato il tema dei dazi: se ai dazi di un Paese si risponde con altri dazi da parte dei Paesi colpiti, la somma finale (a parte qualche scossone per i settori colpiti) rischia di essere pari a zero e nessuno ci guadagna nulla. Quindi Trump, per far pendere la bilancia (commerciale) dalla propria parte, avrebbe bisogno dell’aiuto di una moneta debole (che favorisce le esportazioni, ma limita le importazioni perché le merci importate risulteranno più care), quindi di tassi di interesse più bassi.
Quando i tassi di interesse di una moneta si abbassano rispetto a quelli delle alle altre succede una cosa molto semplice: gli investitori di quella moneta, dato che prendono meno interessi, preferiranno vendere dollari e acquistare altre monete che fruttino interessi più alti. E vendendo quella moneta ne abbasseranno il valore rispetto alle altre monete.
Powell rema contro Trump non solo perché non è politicamente vicino a quelle idee, ma anche perché ha la scusa perfetta: i dazi attuati hanno riscaldato l’inflazione e quindi, in teoria, ci vogliono i tassi alti per contenere l’inflazione.
Dico, in teoria; una teoria ampiamente smentita dai fatti e dal buon senso. Un’eventuale inflazione può dipendere dalla moneta solo se c’è un eccesso di moneta nell’economia reale: quindi togliendo questo eccesso di moneta si potrebbe riportare l’inflazione sotto controllo. Ma da tempo sappiamo che non è così per un motivo semplicissimo.
Primo, l’eccesso di moneta è causato dalle banche centrale stesse, quindi bisognerebbe pure che facessero un minimo di autocritica, se non altro per non ripetere gli stessi errori. Secondo, come ormai in uso da almeno trent’anni (da prima della nascita dell’euro, poi pure accelerato), l’eccesso di moneta stampato dalle banche centrali finisce nei mercati finanziari e non nell’economia reale, dove invece osserviamo una perenne crisi per mancanza di liquidità.
In questa situazione folle, dove si attua un indirizzo di politica monetaria (non abbassare i tassi per contenere l’inflazione) che certamente non porterà alla soluzione desiderata, si ha l’impressione che la spiegazione fornita sia solo uno specchietto per le allodole (“ci sono i dazi, c’è l’inflazione”) e che il vero e unico obiettivo sia quello di colpire il potere politico di Trump.
Ora è facile prevedere chi sarà il vincitore (temporaneo) di questa guerra sotterranea divenuta ormai palese, anche perché il mandato di Powell è in scadenza nella prima metà dell’anno prossimo
Quello che invece questo scontro mette in evidenza è un punto focale interessante per tutti noi. Un punto focale che viene centrato dalla seguente domanda: negli Usa c’è la sovranità monetaria?
In una situazione nella quale è fissata un’architettura bancaria e monetaria che la rende discretamente indipendente dal potere politico, in modo tale da poter arrivare a remare contro le politiche economiche (e/o quelle fiscali) di un Governo legittimamente eletto dal popolo, c’è vera sovranità monetaria? Oppure lo strumento monetario viene usato non per favorire il benessere economico del popolo, ma in funzione di altri interessi, legati alla finanza speculativa?
In fondo una Banca centrale ha un modo molto semplice per mettere in crisi un Governo: basta che smetta di comprare i suoi titoli di stato. Non lo fa, perché farebbe un danno ancora maggiore agli interessi che vuole difendere, gli interessi della finanza speculativa, a cui partecipa allegramente anche tutto il sistema bancario. Sarebbe come farsi scoppiare la bomba atomica in casa.
Trump credo sappia bene queste cose e ne approfitta attaccando indiscriminatamente, ben sapendo che l’arma degli avversari è in realtà un’arma spuntata.
Da noi questa tematica nemmeno esiste, da parte di nessun partito di nessun Paese: a parte quei pochi Paesi europei che non hanno l’Euro come moneta e quindi non hanno problemi a dire pane al pane e vino al vino, tutti gli altri nemmeno osano muovere qualche critica alla Bce e a chi la guida.
La follia in corso è ben rappresentata dalle parole della von der Leyen, la quale ha commentato con soddisfazione l’approvazione del diciottesimo (diciottesimo!) pacchetto di sanzioni alla Russia, perché le sanzioni stanno portando la Russia alla recessione: si basa sulle parole del Presidente della Banca centrale russa, che recentemente ha affermato che l’economia russa è in sofferenza a causa della guerra, che ha portato a un’inflazione troppo alta.
Avete capito bene? Ora per la von der Leyen una fonte russa è diventata una fonte affidabile di informazioni. Poveretta, sono ormai tre anni che annunciano il fallimento dell’economia russa, ma non si accorgono delle drammatiche condizioni di quella europea, soffocata da una globalizzazione ormai in crisi strutturale e da costi energetici insostenibili.
Proprio per questo continuo a essere ottimista: la crisi della globalizzazione è ormai strutturale, direi irreversibile e quindi i poteri che la sostengono sono sempre più deboli. Un profondo cambio di paradigma che riporti al centro il tema della sovranità dei popoli ormai è inevitabile.
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