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Home » Esteri » Europa » TRA UE E BERLINO/ Le impossibili maggioranze “variabili” di Ursula von der Leyen

  • Europa
  • Politica

TRA UE E BERLINO/ Le impossibili maggioranze “variabili” di Ursula von der Leyen

Marco Zacchera
Pubblicato 16 Novembre 2024
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue al secondo mandato, e Roberta Metsola, riconfermata presidente del parlamento Ue (Ansa)

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue al secondo mandato, e Roberta Metsola, riconfermata presidente del parlamento Ue (Ansa)

La von der Leyen non riesce a varare la sua Commissione: non può tenere insieme verdi e conservatori. Il nodo politico si aggroviglia sempre di più

Detta in parole povere, crude ma realiste, in Europa è un grande casino.

Si sta infatti diffondendo una miscela esplosiva che nonostante il lavoro di tanti artificieri potrebbe deflagrare con conseguenze letali per la stessa sopravvivenza dell’Unione.

In un quadro internazionale sempre più difficile per l’Europa dopo l’elezione di Trump, con i russi all’attacco in Ucraina, le difficoltà economiche di molti partner, la crisi politica in Germania e la debolezza intrinseca della sua maggioranza, Ursula von der Leyen, pur ostentando sorrisi e sicurezza, non sa più sostanzialmente che pesci pigliare.


Putin: “Dombass sarà nostro, coi negoziati o con le armi”/ Trump accelera sulla pace: oggi round USA-Ucraina


La mancata nomina di Fitto è solo una spina della pesante corona che ha in testa, ma è un segnale chiaro che la sua maggioranza è su diverse barricate e che quindi lei si trova presa in mezzo tra fuochi incrociati con il rischio di finire impallinata anche dal fuoco amico, perché la sua maggioranza sta veramente diventando una guerra tra bande. È evidente come le sia necessario allargarla (e può farlo solo aprendo un varco verso i conservatori), ma visto che questa manovra teoricamente opportuna cancellerebbe il “diritto di veto” detenuto da ciascuno dei suoi alleati attuali è chiaro che ogni partner tutto vuole tranne che perdere il proprio potere di condizionarla.


SPILLO UE/ Dalle caldaie a gas al Cbam, gli indizi sui ripensamenti green di Bruxelles


Come in un cubo di Rubik, se sposti un elemento rischi di smuoverne altri e la situazione si sta appunto ingarbugliando sempre di più.

Partiamo dal nuovo rapporto che l’UE dovrà necessariamente avere con l’altra sponda dell’oceano, dove Trump non sembra assolutamente d’accordo a continuare gratis in un feeling politico-militare con l’Unione, sostenendo che gli USA pagano per tutti. Questo vale sia per l’Ucraina che per i dazi economici, sui quali Trump si è speso molto (probabilmente troppo) in campagna elettorale.

Sulla questione ucraina proprio Trump potrebbe forse, alla fine, dare una mano all’Europa per uscire dall’impasse: se gli USA staccheranno la spina dopo una bozza di accordo con Mosca, l’UE si dovrà forzatamente adeguare, chiudendo così una emorragia sempre più costosa e divisiva, alla faccia dei “falchi” che in questi anni hanno soffiato sul fuoco.


TAIWAN/ Tokyo con Taipei come l’Ue con Kiev, non è in grado di aiutarla senza Trump (che può cedere a XI)


Posto di tamponare così l’aspetto militare, resta però aperto il nodo politico, ad iniziare dalla composizione della Commissione: socialisti e popolari sono in guerra tra loro, si fanno sgambetti, sostanzialmente non si sopportano a vicenda ed è scattata la corsa alle reciproche esclusioni, perché non si tratta del valore o meno dei nomi messi sul tavolo, ma di che cosa oggi significano in termini di maggiore o minore apertura verso destra.

Solo una grande paura esterna convincerà i due blocchi a collaborare ancora temendo guai maggiori, altrimenti continuerà questo conflitto ad oltranza che in fondo è stato causato proprio dal voto di giugno con un rafforzamento a destra, ma non sufficiente per dare (con i popolari) autonomia ad una diversa maggioranza di governo. Ma come potrebbero i popolari ammettere proprio adesso che non avrebbe più molto senso una totale censura verso la Le Pen & Co., quando il suo partito condiziona ora il governo francese? È un percorso difficile e che sconfesserebbe il loro recente passato, mentre la leader francese si trova nei guai fino al collo con i giudici parigini che (memento Berlusconi) vogliono metterla fuori gioco.

Il nocciolo del problema per la von der Leyen è però anche in casa propria, con una crisi politica tedesca che sembra improcrastinabile e che alla fine – volendo a priori escludere AfD – significherà reinventarsi una qualche grande coalizione, altrimenti una maggioranza a Berlino non si troverà.

Difficile per Ursula mantenere i piedi in più scarpe, anche perché la grana tedesca scoppierà a primavera, mentre a Bruxelles le cose vanno decise presto ed i veti sembrano insormontabili.

In questo marasma contribuiscono poi a incancrenire situazioni e rapporti tante altre questioni, “minori” ma non troppo. Per esempio  la Corte Europea che dovrà esprimersi sugli immigrati (se l’Egitto viene considerato “Paese non sicuro” c’è un potenziale rischio di 107 milioni di nuovi migranti che non potrebbero essere legalmente respinti alle frontiere, qualcuno ci ha pensato?) oppure la grana del rientro finanziario di molti Paesi dopo le maglie larghe dei PNRR, i deficit strutturali di molte economie, i rapporti con gli USA che andranno pur tenuti con un nuovo presidente che considera l’Europa non un partner virtuoso, ma una specie di pulce fastidiosa e che si è dimostrata troppo disponibile verso la passata amministrazione.

Diciamo che per Ursula non bastano dosi massicce di ansiolitici, servono scelte difficili, mentre fino ad ora aveva galleggiato con sorrisi, promesse e rapporti personali, diventati insufficienti ora che i nodi vengono al pettine.

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Tags: Ursula Von Der LeyenDonald TrumpRaffaele Fitto

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